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La ricerca del buon senso perduto

Pubblicato 28.05.2018, 11:03
Aggiornato 28.05.2018, 09:20
La ricerca del buon senso perduto

Dall’Iran alla Corea, fino all’Italia, il rischio geopolitico viene enfatizzato. Ma la storia e i numeri delle economie e dei mercati suggeriscono di stare alla larga dai luoghi comuni.

Iran, Corea del Nord e Italia sono i principali rischi geopolitici di cui l’investitore globale deve tener conto nelle sue scelte di questi tempi. Lo ha scritto qualche giorno fa l’economista di una grande banca europea. Altri preferiscono mettere nella lista dei rischi la finora immaginaria guerra commerciale scatenata da Trump al posto dell’Italia. Crediamo che la conclusione secondo cui è arrivato il momento di vendere per mettersi al riparo da queste presunte minacce sia sbagliata. Il problema è che il buon senso, altrimenti detto senso comune, sembra una merce sempre più rara, mentre tra commentatori e analisti sembra prevalere il luogo comune a cui tutti cercano di allinearsi tanto per non sbagliare. Un fenomeno che abbiamo definito ‘luogocomunismo’. Un modo di pensare disconnesso dalla realtà delle economie e dei mercati ma molto confortevole, perchè ci si ritrova in compagnia numerosa.

QUANDO L’ITALIA SEMBRAVA IL MESSICO

Cominciamo dall’Italia cercando qualche spunto dalla storia recente, che quasi mai si ripete ma spesso sussurra in rima qualche insegnamento. Le ultime crisi finanziarie risalgono al 1992, al 1994-95 e al 2011-12. Protagonista delle prime due fu la lira, svalutata e espulsa dallo SME nella prima e di nuovo svalutata nella seconda crisi che aveva come epicentro il Messico, mentre nella terza i protagonisti sono stati BTP e CCT insieme ai titoli bancari, venduti come carta straccia. In tutti e tre i casi fu una formidabile opportunità di acquisto per l’investitore, con ritorni a due cifre per chi scommetteva sull’Italia quando molti la mollavano.
Quella che dà più spunti è la seconda, di cui ci si ricorda poco. A cavallo dell’anno cadeva il primo governo Berlusconi, il cui arrivo era stato accolto con euforia dal mercato sei mesi prima, mentre dall’altra parte dell’Atlantico andava in crisi il peso messicano. Lira e titoli di stato, ormai privi dell’ombrello del sistema monetario europeo, venivano percepiti come quelli di un paese emergente, e l’onda d’urto arrivò in Italia con la stessa violenza con cui colpì l’America latina. Dini prese il posto di Berlusconi, era il suo ex ministro del Tesoro con un passato in Bankitalia e nella World Bank. Puntò a recuperare subito uno status europeo a cominciare dai conti pubblici con la riforma delle pensioni. In pochi mesi, chi aveva comprato BTP a gennaio si ritrovò con un importante doppio guadagno, sul prezzo e sulla lira in cui erano denominati. Dini gettò le basi per la qualificazione all’ingresso nell’euro, portato poi a casa da Prodi due anni dopo, che fece partire il più spettacolare rally di Piazza Affari dagli anni Ottanta. La lezione da trarre sembra che sia: senza un’àncora europea l’Italia è percepita come un paese emergente, con tutti i rischi e i vantaggi conseguenti.

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APPROFONDIMENTO
Il ritornello stonato dell’euro debole

LA CAROTA OFFERTA AI CINESI

Corea e Iran, come abbiamo già scritto, sono due partite sulla stessa scacchiera. Trump ‘doveva’ rinnegare l’accordo sul nucleare con Teheran, perché altrimenti Kim avrebbe preteso come minimo le stesse condizioni. Il bastone alternato alla carota, offerta soprattutto alla Cina, sembra continui a funzionare. Ora sono i nord-coreani a implorare il vertice tatticamente cancellato da Donald, che magari nei prossimi giorni ci sorprende concedendosi graziosamente. Se va così, e se porta a casa un buon accordo, quello stesso accordo può diventare la piattaforma per trattarne uno analogo con l’Iran. La guerra commerciale è il condimento di questa politica, un’arma da usare alternativamente con Cina e Europa per farli allineare. Ne sapremo di più ai primi di giugno quando il segretario USA al Commercio Wilbur Ross vola a Pechino per riprendere i negoziati dopo il reciproco scambio di ramoscelli d’ulivo tra i due paesi settimana scorsa.

APPROFONDIMENTO
La strategia di Trump: carota con la Cina, bastone per l’Europa

ORA DI TORNARE A WALL STREET?

Sul versante delle economie globali il grande tema continua a essere il ritorno dell’inflazione. Secondo dati riportati su Seeking Alpha quasi l’80% dei gestori globali si aspetta inflazione in rialzo nei prossimi 12 mesi, un massimo da 14 anni, in un contesto che vede la Fed molti passi avanti nel cammino della normalizzazione monetaria e la BCE molti indietro. Su fronte dei mercati, la turbolenza di fine gennaio-inizio febbraio ha determinato un riposizionamento sul cash dopo la sovraesposizione sulle azioni dei mesi precedenti, con gli investitori che hanno sottopesato la Borsa USA rispetto alle altre, soprattutto Europa. Qui c’è una contraddizione che probabilmente andrà corretta, perché negli ultimi nove mesi le azioni USA hanno fatto meglio delle europee (+6%) e di quelle del resto del mondo (+5%). La ragione è nei numeri. La stagione delle trimestrali si è chiusa a Wall Street con il 78% dei titoli dello S&P 500 che hanno fatto meglio delle attese, la percentuale più alta da quando FactSet ha iniziato a raccogliere questo dato a fine 2008.

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BOTTOM LINE

I luoghi comuni suggeriscono scenari catastrofici, anche perchè l’estremismo paga nei titoli di giornali e telegiornali. Il senso comune suggerisce di dare uno sguardo più attento alle azioni americane e alla situazione italiana. Nelle ultime settimane Piazza Affari, banche e BTP hanno sofferto un notevole stress. Ma ora lo scenario è in evoluzione e sembra prendere una direzione diversa. Staremo a vedere se nelle prossime settimane andrà in onda qualcosa di simile a quanto successo nel 1994-95.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)



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