Da inizio anno il contesto è divenuto più difficile per il mercato obbligazionario, e la debolezza del debito emergente e la situazione politica italiana certo non aiutano.
FONDI, PERCHÉ LA FUGA DAGLI OBBLIGAZIONARI
C’è disaffezione verso l’investimento in obbligazioni come testimoniato dai dati di aprile di Assogestioni riportati nell’articolo Fondi obbligazionari, perché adesso c’è la fuga: il deflusso mensile dai fondi obbligazionari è stato di 862 milioni. Dall’inizio di quest’anno, alle problematiche che già pendevano nel 2017 sui fondi obbligazionari dell’area euro se ne sono aggiunte nuove che hanno coinvolto altre categorie. Nell’area euro, le problematiche già note nel 2017 sono quelle riconducibili alla ripresa economica che sta spingendo la BCE a ridurre il QE (Quantitave Easing): minori acquisti sul mercato da parte della banca centrale europea significano meno domanda e quindi prezzi dei titoli di stato euro che scendono (e rendimenti, che si muovono in direzione opposta ai prezzi, che salgono). Uno scenario negativo per i possessori di titoli governativi euro sia a breve che a medio lungo termine che ha determinato già nel 2017 deflussi dai fondi obbligazionari governativi euro per oltre 10 miliardi di euro. Un trend che è proseguito pure nel primo trimestre di quest’anno con deflussi per un altro miliardo. Ma a differenza del 2017, le altre categorie di fondi obbligazionari che erano stati utilizzati dagli investitori e consulenti per sostituire quelli focalizzati sull’area euro hanno avuto un andamento meno brillante. Dagli obbligazionari high yield internazionali agli obbligazionari misti, dagli obbligazionari high yield area dollaro agli obbligazionari internazionali corporate investment grade, dagli obbligazionari governativi dollaro a medio lungo termine agli obbligazionari altre specializzazioni . Non solo. Il debito emergente, un segmento di mercato che finora aveva rappresentato una valida opzione alternativa per gli investitori obbligazionari in cerca di reddito e qualità, ha sofferto il rafforzamento del dollaro accusando perdite di quattro punti percentuali da inizio anno.
DEBITO EMERGENTE, NON TUTTI I PAESI SONO UGUALI
A proposito di debito emergente, non tutti i paesi in via di sviluppo sono uguali. Infatti a fronte di un forte rafforzamento del dollaro del 6,4% rispetto all’euro, diverse monete dei paesi in via di sviluppo hanno perso terreno, ma con diverse gradazioni.
Questo perché, come viene argomentato nell’articolo Valuta, inflazione e tensioni politiche: i punti deboli della Turchia, i paesi emergenti non sono affatto tutti uguali in termini di bilancio statale, export, bilancia commerciale, crescita, riserve valutarie, inflazione e competitività. Uno dei paesi in via di sviluppo che è attualmente in maggiore difficoltà è la Turchia. Una conferma, in questo senso, è l’ultima decisione adottato il 23 maggio scorso dalla banca centrale turca che ha alzato di 300 punti base (+3,00%), portandolo al 16,50%, il tasso di rifinanziamento di liquidità, ovvero il tasso al quale essa effettua i prestiti alle banche commerciali.
PERCHÉ L’ORO NON BRILLA PIÙ
Il dollaro forte influenza anche l’oro che, infatti, sembra aver perso il suo appeal di bene rifugio nonostante le turbolenze sui mercati. In particolare, esiste (storicamente) una forte correlazione inversa tra il dollaro e l’oro: se cresce il primo cala il prezzo del secondo e viceversa. Ed è proprio quello che è successo negli ultimi mesi. Ma, come si precisa nell’articolo L’oro non brilla più nonostante le tante tensioni sui mercati recita un ruolo importante anche il rendimento dei titoli di stato USA. Se questo aumenta, diminuisce l’appeal dell’oro che, per sua natura, non offre alcun rendimento. Si tratta di un fenomeno divenuto molto evidente nelle ultime settimane, nelle quali le quotazioni dell’oro sono cadute nei giorni in cui i rendimenti dei Treasury USA sono saliti bruscamente.
SEGNALI CONTRASTANTI DAI MERCATI
D’altra parte i segnali provenienti dai mercati sono piuttosto contrastanti e mettono sempre più in difficoltà gli investitori che si dividono tra chi è incline a rischiare e che predilige la prudenza. “In una prospettiva globale osserviamo che si stanno manifestando allo stesso tempo segnali di propensione e avversione al rischio in un tiro alla fune che lascia perplessi gli investitori” sostengono nell’articolo Mercati, braccio di ferro tra propensione al rischio e inclinazione alla prudenza gli esperti di Euromobiliare AM Sgr. Il loro riferimento è ai segnali contrastanti che emergono sui mercati con l’indice Vix (che misura la volatilità implicita di Wall Street) che resta sui minimi dell’anno, lo yen che si rafforza (segnale che gli investitori stanno alleggerendo le posizioni di rischio in portafoglio finanziate con l’acquisto della valuta giapponese) e il titolo di stato USA (Treasury) decennale che scende sotto al 3% di rendimento sulla scia dei verbali della Federal Reserve dai quali emerge una politica monetaria tendenzialmente meno aggressiva.
Il tutto senza trascurare l’impennata e la successiva forte correzione del prezzo del petrolio a fronte di aspettative di una revisione dei tagli alla produzione di Opec e Russia già dal prossimo mese.
LE IMPLICAZIONI DELLA CRISI ITALIANA
Certo non aiuta affatto la situazione la crisi italiana. A questo proposito, nell’articolo Crisi Italia, lezione Brexit e fondamentali: cosa dicono gli investitori stranieri gi esperti di Vontobel Asset Management, per esempio, ritengono che la forte svendita dei titoli di stato italiani di questi ultimi giorni non sia giustificata per il semplice motivo che, se è vero che il paese sta attraversando un crisi istituzionale seria, la situazione non è così terribile come viene descritta. Da un lato la situazione attuale potrebbe anche stimolare ulteriormente l’integrazione europea mentre, sul versante più strettamente politico italiano, potrebbe portare ad una maggioranza di governo alle prossime elezioni, che si dovrebbero tenere in settembre. “La situazione quindi richiede pazienza, mettendo da parte le considerazioni emotive per qualche tempo” puntualizzano i professionisti di Vontobel AM mentre. Guido Barthels, portfolio manager di Ethenea, analizzando cosa è successo alle asset class britanniche dopo l’esito de voto por Brexit aggiunge: “In questo contesto, desiderosi di sottrarci all’incertezza, abbiamo deciso di mantenere nel portafoglio solo posizioni ridotte in titoli denominati in sterline” puntualizza Guido Barthels.
L’esperto, a questo punto, si dice persuaso che prima o poi le difficoltà della situazione convinceranno anche gli euroscettici più intransigenti, a indirizzarsi verso l’approvazione di una normativa Brexit relativamente soft. “Come per esempio un’unione doganale il più possibile ampia e regole generose di libera circolazione per i cittadini Ue. In tal caso, bisognerà chiedersi perché allora proseguire sulla strada dell’uscita dalla Ue” conclude Guido Barthels.
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge