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Conoscere per investire: ormai è un diritto/dovere di cittadinanza

Pubblicato 24.09.2018, 10:48
Aggiornato 24.09.2018, 09:01
Conoscere per investire: ormai è un diritto/dovere di cittadinanza

Dopo nove anni di Toro a Wall Street il rapporto tra risparmiatore e mercato non è ancora del tutto ricucito. E in Italia parte un’iniziativa importante di Bankitalia per diffondere la cultura finanziaria.

Non sono bastati nove anni di mercato Toro per far fare la pace tra i risparmiatori americani e il mercato azionario dopo il ‘tradimento’ della crisi del 2008, che in sei mesi più che dimezzò il valore dello S&P 500. I principali indici di Wall Street continuano a infilare nuovi record storici e a mandare segnali di ulteriori spazi di rialzo, moltiplicando per oltre 4 volte il valore rispetto ai minimi di marzo 2009. Ma secondo un recente sondaggio di Gallup la percentuale di famiglie americane che possiede azioni è oggi al 55%, ancora lontana dal 65% del 2007. La cifra si abbassa ancora per la fascia degli under 35, che tra il 2001 e il 2007 contava possessori di azioni per il 53% scesa al 38% nel 2008-2018. In realtà gli americani possiedono molte più azioni di quanto non dichiarino perché non tengono conto dei loro 401 (k), la sigla sotto cui vanno i piani di accumulo per le pensioni, gestiti dai datori di lavoro in regime di esenzione fiscale, che canalizzano ogni mese flussi ingenti di denaro su Wall Street. Ogni anno un americano che ha un lavoro regolare può accantonare esentasse fino a 18.500 dollari, che possono diventare oltre 27.000 se contribuisce anche l’azienda. I denari vengono di solito affidati a un fund manager professionista che può contare sul 7-9% di ritorno annuo storico che offrono le azioni americane.

L’ADDIO AL REDDITO FISSO

In Italia la grande crisi ha impattato in modo diverso i comportamenti del risparmiatore, accentuando un trend iniziato con l’ingresso nell’euro, che aveva abbattuto radicalmente i rendimenti dei titoli di Stato, destinazione preferita dei risparmi fino al 2000 per i rendimenti a due cifre che garantivano. Con la crisi del debito del 2010-11 e il successivo Quantitative Easing della BCE i rendimenti, che già erano scesi da due a una cifra, sono precipitati a zero. L’effetto, come riporta l’ultimo rapporto di Intesa-Centro Einaudi sul risparmio, è stato che gli ex Bot people hanno detto addio al reddito fisso e sono passati al risparmio gestito, sotto diverse forme. Nel 2007 il 29% dei risparmiatori italiani aveva in portafoglio almeno un titolo di debito, nel 2018 la quota è scesa al 19%, pari ad appena il 24% dell’attivo dei bilanci familiari, fatto anche di mattone e di liquidità parcheggiata sui conti correnti. I soldi disinvestiti dalle obbligazioni sono andati in strumenti del risparmio gestito, dai fondi attivi e passivi, come gli ETF, alle polizze, che nel loro insieme per la prima volta nel 2018 hanno sorpassato le obbligazioni, salendo al 21,4% dell’attivo dei bilanci familiari...

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** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge


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