Dopo shock dazi, Trump potrebbe usare la finanza contro gli alleati

Pubblicato 04.04.2025, 18:40
Aggiornato 04.04.2025, 18:45
© Reuters. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump parla con i giornalisti a bordo dell'Air Force One in viaggio verso Miami, Florida, Stati Uniti, 3 aprile 2025. REUTERS/Kent Nishimura/File Photo

FRANCOFORTE (Reuters) - Nonostante l’inchiostro degli ordini esecutivi sugli ultimi dazi di Trump sia ancora fresco, c’è chi si prepara già alla possibile mossa successiva del presidente Usa.

Epicentro del mondo finanziario ed emittente della valuta di riserva globale, gli Stati Uniti dispongono di una serie di leve che Trump può adottare sugli altri Paesi, dalle carte di credito alla stessa offerta di liquidità in dollari per le banche straniere.

Anche se l’impiego di queste armi non convenzionali potrebbe ritorcersi contro gli stessi Stati Uniti, alcuni osservatori ritengono di non poter scartare questi scenari apocalittici.

Ciò varrebbe soprattutto nel caso in cui i dazi non riuscissero a ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti con il resto del mondo - un risultato che molti economisti considerano plausibile, dato che la quasi piena occupazione negli Stati Uniti ha portato a una forte carenza di manodopera.

La Cina ha reagito oggi con contromisure, facendo crollare ulteriormente la borsa Usa e aggravando la crisi.

"Potrei immaginare che il signor Trump (...) possa sentirsi frustrato e cerchi di attuare idee stravaganti, anche se non hanno una logica", ha detto Barry Eichengreen, professore di economia e scienze politiche all’Università della California, Berkeley.

L’ACCORDO DI MAR-A-LAGO

Il piano non troppo segreto dell’amministrazione Usa è quello di riequilibrare il commercio indebolendo il dollaro. Un modo per farlo sarebbe quello di coinvolgere le banche centrali straniere in uno sforzo coordinato per rivalutare le proprie valute.

Secondo un documento di Stephen Miran, l’economista scelto da Trump per presiedere il Consiglio dei Consulenti Economici, ciò potrebbe avvenire nell’ambito del cosiddetto Accordo di Mar-a-Lago, che si riferisce all’Accordo del Plaza del 1985 che puntava a frenare l’apprezzamento del dollaro e al resort di Trump in Florida.

Il documento che risale a novembre suggeriva che gli Stati Uniti avrebbero utilizzato la minaccia di dazi e il richiamo del sostegno alla sicurezza degli Stati Uniti per convincere i Paesi stranieri ad apprezzare le proprie valute rispetto al dollaro.

Tuttavia gli economisti restano scettici sul fatto che un accordo di questo tipo possa funzionare in Europa o in Cina, perché la situazione economica e politica è molto diversa da quella di quarant’anni fa.

"Credo che sia uno scenario davvero improbabile", ha detto Maurice Obstfeld, senior fellow del Peterson Institute for International Economics.

Obstfeld osserva che i dazi sono già stati imposti, il che annulla il loro uso come minaccia, e che l’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza globale è stato indebolito dall’ambiguità sull’Ucraina.

Secondo Obstfeld, è improbabile che i banchieri centrali della zona euro, del Giappone e della Gran Bretagna cedano a un accordo che li costringerebbe ad aumentare i tassi di interesse e a rischiare una recessione.

Freya Beamish, capo economista di TS Lombard, sostiene che architettare il rafforzamento dello yuan andrebbe anche contro la necessità della Cina di rilanciare la propria economia in difficoltà.

Anche in Giappone, dove negli ultimi anni il governo è intervenuto ripetutamente sul mercato valutario per sostenere lo yen, il ricordo di 25 anni di deflazione, terminati solo di recente, potrebbe attenuare l’entusiasmo per un forte apprezzamento dello yen.

LO SCUDO DEL DOLLARO

Se non si riesce a raggiungere un accordo, l’amministrazione Trump potrebbe essere tentata di usare tattiche più aggressive, come sfruttare lo status del dollaro di valuta utilizzata a livello globale per il commercio, i risparmi e gli investimenti.

Secondo Obstfeld e alcuni supervisori e banchieri centrali, ciò potrebbe concretizzarsi nella minaccia di chiudere i rubinetti della Federal Reserve alle banche centrali straniere, che consente loro di prendere in prestito dollari in cambio di garanzie nella propria valuta.

Si tratta di una fonte di finanziamento essenziale in momenti di crisi, quando i mercati monetari si bloccano e gli investitori si rifugiano nella sicurezza del dollaro.

Togliere questa possibilità sconvolgerebbe il mercato multimiliardario del credito in dollari fuori dagli Stati Uniti e colpirebbe in modo particolarmente duro le banche della Gran Bretagna, della zona euro e del Giappone.

Naturalmente, le cosiddette linee di swap restano salde nelle redini della Fed e Trump non ha mai indicato di voler prendere il controllo della potente istituzione monetaria.

Ma le sue recenti decisioni di sostituire personale in posizioni chiave, tra cui gli enti regolatori, hanno innervosito gli osservatori.

"Non è più inconcepibile che in una trattativa più ampia questo possa fungere da minaccia nucleare", ha detto Spyros Andreopoulos, fondatore della società di consulenza Thin Ice Macroeconomics.

A suo avviso, una mossa simile eroderebbe nel tempo lo status del dollaro come valuta globale affidabile.

LE CARTE DI CREDITO

Gli Stati Uniti hanno un altro asso nella manica: le grandi società dei pagamenti, tra cui quelle delle carte di credito Visa e Mastercard.

Mentre Giappone e Cina hanno sviluppato in varia misura i propri mezzi di pagamento elettronici, due terzi dei pagamenti con carta effettuati nelle 20 nazioni dell’area euro sono gestiti dalle due società statunitensi.

I pagamenti tramite app su cellulare, dominati da Big Tech statunitensi come Apple (NASDAQ:AAPL) e Google (NASDAQ:GOOGL), rappresentano quasi un decimo dei pagamenti retail.

Se Visa e Mastercard dovessero essere costrette a staccare la spina ai propri servizi, come hanno fatto in Russia poco dopo l’invasione dell’Ucraina, gli europei sarebbero costretti a pagare i propri acquisti in contanti o tramite scomodi bonifici bancari.

"Il fatto che gli Stati Uniti siano diventati ostili è un’enorme battuta d’arresto", ha detto Maria Demertzis, capo economista per l’Europa presso il think tank Conference Board.

La Banca centrale europea ha detto che questo espone l’Europa al rischio di "pressione e coercizione economica" e che una soluzione potrebbe risiedere nell’euro digitale.

Ma i piani per il lancio di questa moneta sono rimasti fermi alle discussioni e la sua introduzione potrebbe richiedere anni.

I funzionari europei stanno valutando come rispondere alle azioni di Trump, ma rimangono cauti per evitare di innescare un’ulteriore escalation.

Potrebbero imporre a loro volta dei dazi o ricorrere a misure più drastiche, come limitare l’accesso delle banche statunitensi all’Ue.

Adottare misure così radicali, tuttavia, potrebbe essere difficile a causa del peso internazionale di Wall Street e del rischio di un contraccolpo per gli istituti di credito europei che operano negli Stati Uniti.

Tuttavia, alcuni manager di banche internazionali hanno detto a Reuters di temere la minaccia di ripercussioni da parte dell’Europa nei prossimi mesi.

(Tradotto da Chiara Scarciglia, editing Claudia Cristoferi)

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