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Eni-Nigeria, pm indagati a Brescia per omissione atti ufficio -fonti

Pubblicato 10.06.2021, 16:53
Aggiornato 10.06.2021, 16:54
© Reuters. Logo di Eni presso una stazione di servizio nel quartiere Eur a Roma, con la sede centrale dell'azienda sullo sfondo. 30 settembre 2018 REUTERS/Alessandro Bianchi/File Photo

© Reuters. Logo di Eni presso una stazione di servizio nel quartiere Eur a Roma, con la sede centrale dell'azienda sullo sfondo. 30 settembre 2018 REUTERS/Alessandro Bianchi/File Photo

MILANO (Reuters) - Il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro, titolari dell'inchiesta e poi pubblici ministeri del processo Eni (MI:ENI) -Shell Nigeria, sono indagati per omissione d'atti d'ufficio dalla procura di Brescia.

Lo riferiscono tre fonti a diretta conoscenza del dossier. La procura di Brescia è l'ufficio delegato a indagare sui magistrati del distretto di Corte d'Appello di Milano.

I due magistrati non hanno commentato.

All'origine dell'indagine, avviata due settimane fa, c'è la gestione da parte dei due magistrati di alcune informazioni sull'ex manager Eni Vincenzo Armanna a loro arrivate da una indagine parallela condotta da altri colleghi, spiegano due fonti.

Armanna era uno degli imputati del processo sulle presunte tangenti in Nigeria ma contemporaneamente anche accusatore dei vertici Eni.

Il Tribunale di Milano lo scorso 17 marzo ha assolto tutti gli imputati, 13 persone più le società Eni e Shell, "perché il fatto non sussiste" dall'accusa di aver pagato oltre un miliardo di dollari di tangenti per la concessione di un giacimento petrolifero nigeriano.

L'inchiesta di Brescia, spiegano le fonti, trae origine dall'interrogatorio del pm milanese Paolo Storari, a sua volta indagato per rivelazione di segreto d'ufficio per aver consegnato al consigliere del Csm Piercamillo Davigo dei verbali dell'inchiesta attualmente ancora in corso che stava conducendo sul cosiddetto "depistaggio" Eni, lamentando l'inerzia dei vertici della procura di Milano.

Fra gli elementi di indagine messi a disposizione della procura di Brescia, ci sono le risultanze di accertamenti che dimostrerebbero la falsità del racconto da parte di Armanna del presunto tentativo di alcuni manager Eni di fargli cambiare versione in un incontro a Roma (il cosiddetto "patto della Rinascente"), e documenti che attesterebbero il versamento di 50.000 dollari da un conto dello stesso Armanna a un testimone del processo Eni Nigeria, Isaak Eke.

© Reuters. Logo di Eni presso una stazione di servizio nel quartiere Eur a Roma, con la sede centrale dell'azienda sullo sfondo. 30 settembre 2018 REUTERS/Alessandro Bianchi/File Photo

Tutti elementi che, secondo l'ipotesi d'accusa, se fatti confluire nel procedimento sulla presunta corruzione in Nigeria avrebbero certificato l'inattendibilità di Armanna e la falsità delle sue dichiarazioni, a vantaggio dell'Eni e degli altri imputati del processo.

Armanna era un imputato del processo sebbene anche accusatore, non un testimone. I pubblici ministeri al termine della loro requisitoria avevano chiesto la sua condanna a sei anni di reclusione.

(Emilio Parodi, in redazione a roma Giselda Vagnoni, mailto:emilio.parodi@thomsonreuters.com; +39 02 66129523)

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