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Processo Nigeria, Eni offre di finanziare viaggio Italia a testimoni

Pubblicato 16.01.2019, 16:30
Aggiornato 16.01.2019, 16:30
© Reuters. Italian energy company Eni headquarters is seen in Rome

MILANO (Reuters) - Al processo in corso al tribunale di Milano sulle presunte tangenti Eni (MI:ENI) e Shell in Nigeria, la difesa del gruppo petrolifero italiano si è offerta di pagare le spese di viaggio in Italia ai testimoni nigeriani che avessero optato per la videoconferenza a causa di problemi economici.

Al termine di una udienza in cui sono nuovamente emersi problemi di connessione, ascolto e traduzione da Abuja, l'avvocato Nerio Diodà ha rappresentato al Tribunale la possibilità che Eni anticipi il denaro per il trasferimento dei testi a Milano.

Il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale ha risposto che la procura si impegnerà a chiarire ai testimoni che resta preferibile il trasferimento per le udienze in Italia piuttosto che il collegamento dalla Nigeria, ma si è opposto alla richiesta Eni argomentando che "è improprio che l'imputato paghi il trasferimento dei testi".

Il presidente Marco Tremolada ha quindi deciso che il Tribunale si riserverà di decidere, accogliendo però con apparente favore le proposte di Eni, compresa quella di fornire una propria consulente per la eventuale traduzione simultanea, anche quest'ultima destinataria del parere contrario della procura per ragioni di opportunità.

MILIONI DOLLARI CASH CONSEGNATI IN BORSE

L'udienza di oggi è stata riservata all'audizione di due fratelli nigeriani, titolari del "bureau de change" che nel 2011 ha ricevuto l'equivalente in moneta locale di circa 200 milioni di dollari in diverse tranche, per essere cambiati appunto in dollari, euro e sterline, dall'uomo d'affari nigeriano Alhaji Aliyu Abubakar, in rapporti con esponenti politici del paese africano fra i quali l'allora presidente Jonathan Goodluck, e ritenuto dalla procura socio di fatto dell'ex ministro del Petrolio Dan Etete, fra gli imputati del processo milanese.

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Entrambi i testimoni, cambiavalute, hanno detto di non sapere a cosa fosse destinato il denaro, e che il loro lavoro consisteva esclusivamente nel ricevere i soldi, cambiarli nelle valute richieste e riconsegnarli a Aliyu Abubakar o a suoi tramite.

Tutti i circa 200 milioni di dollari totali, hanno dichiarato i testi, sono stati riconsegnati in contanti, all'interno di grosse borse direttamente all'uomo d'affari nel suo ufficio o anche al suo autista.

La procura, nel suo capo di imputazione, ipotizza che i contanti servissero a retribuire politici e pubblici ufficiali nigeriani.

Prossima udienza il 23 gennaio.

Il processo in corso a Milano vede imputate le società Eni e Shell e altre 13 persone fra le quali l'AD di Eni Claudio Descalzi (nella sua veste, all'epoca dei fatti, di direttore generale della divisione Exploration e Production), l'ex AD Paolo Scaroni e l'ex direttore esecutivo per esplorazione e produzione di Shell, Malcolm Brinded.

L'accusa ipotizza il pagamento di tangenti per 1,092 miliardi di dollari su 1,3 miliardi di dollari versati nel 2011 da Eni e Shell su un conto del governo nigeriano per l'acquisto della licenza per l'esplorazione del campo petrolifero Opl-245 in Nigeria. Il periodo dei fatti contestati va dall'autunno 2009 al 2 maggio 2014.

Tutti gli imputati hanno sempre respinto le accuse, sottolineando che il prezzo dell'acquisto fu versato su un conto ufficiale del governo di Lagos e che il successivo trasferimento di gran parte del denaro su altri conti, in particolare su quello della società Malabu (che la procura indica appartenere all'ex ministro Etete), era al di fuori della sfera d'influenza delle società acquirenti.

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(Emilio Parodi)

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