Di Mauro Speranza
Investing.com - La compagnia con gli utili più alti realizzati nel 2018 non si trova negli Stati Uniti ma nell’Arabia Saudita. La Saudi Aramco, compagnia nazionale saudita di idrocarburi, infatti, ha realizzato 111 miliardi di dollari di utile netto. La cifra corrisponde alla somma degli utili realizzati da Apple (NASDAQ:AAPL), Google (NASDAQ:GOOGL), Facebook (NASDAQ:FB) e Exxon Mobil (NYSE:XOM) messi insieme.
I conti del gigante petrolifero sono stati un segreto per diversi anni, ma ad alzare il velo sui dati è stata Moody’s insieme a Fitch, entrambe chiamate dai sauditi a valutare la rischiosità dei bond da 10 miliardi di dollari che Aramco ha deciso di emettere in questi giorni.
L’operazione ha permesso di divulgare il bilancio del primo produttore di idrocarburi al mondo e, secondo Moody’s, il gigante ha realizzato nel 2018 ricavi per 355 miliardi di dollari e un utile operativo di 212 miliardi.
Paragonandola alle altre grandi aziende mondiali, Apple ha chiuso il 2018 con un utile netto di 59,4 miliardi di dollari, ovvero la metà di Aramco. Alphabet che controlla Google, si ferma a 30,7 miliardi di dollari, mentre Exxon Mobil, la principale società petrolifera statunitense, resta indietro a 20,8 miliardi di dollari.
L’emissione del titolo avrà lo scopo di finanziare parte dell’acquisizione di Saudi Basic Industries Corporation (Sabic), spendendo una cifra pari a 69,1 miliardi di dollari per il 70% della società, quota detenuta dal governo saudita.
Moody's ha assegnato a Saudi Aramco il rating A1. Per Fitch il rating è A+ (sostanzialmente lo stesso di Moody's), in linea con il rating dei titoli di Stato dell'Arabia saudita.
Saudi Aramco doveva essere quotata nel 2018 secondo le volontà del principe ereditario Mohammed bin Salman, col fine di diversificare l’economia del regno troppo dipendente dal petrolio.
Secondo Il Wall Street Journal, però, l’Ipo è stata rinviata perche le valutazioni di 1.400 miliardi erano più basse di quanto atteso da Riyad. Il prossimo passo potrebbe essere fatto nel 2021.
La compagnia petrolifera, però, potrebbe avere problemi in caso di quotazione in borsa, in quanto “resterebbe ancora un velo di mistero sulla sostenibilità”. L’attacco arriva dal Financial Times, secondo il quale gli investitori potrebbero non avere chiaro a quanto ammonterebbe il totale delle spese da sostenere, dagli investimenti ai pagamenti governativi”.
“C’è anche il dubbio sui dividendi che l’azienda paga al governo al di là di un'aliquota fiscale già considerevole”, prosegue il FT, “con il regno che riconosce che l'azienda rimarrà una fonte chiave di fondi governativi. Nel 2017 Aramco ha fornito il 63% di tutte le entrate pubbliche”.
Dubbi arrivano anche sull’attività del gigante, con “il suo costo per estrarre un barile di petrolio, comprese le spese in conto capitale, in media di soli 7,50 dollari al lordo delle imposte, il che lo pone ben al di sopra delle major energetiche internazionali, che mirano in linea di massima a raggiungere i break-evens di circa 30 dollari al barile”, spiegano sempre dal FT.
La sensazione del Financial Times è quella che l’azienda possa essere “una mucca da latte” per lo stato saudita, in quanto “mentre l'aliquota fiscale sulla produzione di petrolio greggio di Aramco è stata ridotta nel 2017 dall'85 percento al 50 percento, l'industria in senso lato ha visto le aliquote fiscali effettive in media solo del 33,3 percento negli ultimi cinque anni, secondo i dati di Refinitiv”.