Donald Trump ha aperto un nuovo capitolo nella guerra commerciale, firmando due nuovi decreti che aumentano i dazi su acciaio e alluminio al 25%, indipendentemente dal Paese di provenienza. Questi decreti si aggiungono all’aumento già applicato sui prodotti cinesi, nonché a una serie di minacce, anche nei confronti dell’Unione Europea, di imporre dazi reciproci per colpire tutti gli Stati che tassano i beni americani.
Ma qual è l’impatto reale di una politica del genere sull’economia e sulle valute? Secondo Michele Sansone, country manager di iBanFirst Italia, l’impatto della guerra commerciale al momento è piuttosto limitato. Tuttavia, il suo effetto sui tassi può condizionare pesantemente la direzione delle principali coppie valutarie e, tra queste ovviamente, il rapporto euro dollaro EUR/USD.
Evitare un'escalation che sarebbe fatale
“Gli annunci continuano ad arrivare e i governi stanno cercando di rispondere. Secondo i nostri calcoli, il 5% del PIL statunitense è direttamente influenzato dall’aumento dei dazi su Messico, Canada e Cina”, spiega Sansone.
Inoltre, aggiunge, “tutti gli attori coinvolti rifiutano un’escalation delle tensioni che potrebbe essere fatale. Nel caso di Messico e Canada, è probabile che l’accordo commerciale esistente venga rinegoziato. Lo stesso vale per la Cina, che ha optato per una risposta molto limitata lunedì 10 febbraio: aprendo un’inchiesta contro Google (NASDAQ:GOOGL), che non opera nel paese dal 2010, e misure ritorsive che escludono la soia, il principale prodotto importato dagli Stati Uniti dalla Cina”.
Una risposta molto graduale della Cina che secondo il country manager di IbanFirst si spiega con l’aumento del 13% del dollaro USA rispetto allo yuan da febbraio 2022 che ha parzialmente compensato l’aumento del 10% dei dazi deciso dall’amministrazione Trump.
Inoltre, approfondisce Sansone, “la Cina ha ancora la possibilità di continuare a esportare negli Stati Uniti tramite paesi terzi del sud-est asiatico, come il Vietnam, cosa che il paese sta già facendo. Se Washington volesse veramente danneggiare la Cina, potrebbe mirare massicciamente al Vietnam”.
Questo porta l’esperto a concludere che “la politica tariffaria degli Stati Uniti mira principalmente a ottenere concessioni economiche e a costringere le aziende a trasferire le loro attività negli Stati Uniti”.
E l’Europa in tutto ciò?
Ufficialmente, l’Europa risponderà a qualsiasi aumento dei dazi, il che potrebbe portare a una spirale inflazionistica. “Dietro le quinte – osserva Sansone -, la Commissione Europea sta preparando una lista di beni che è disposta ad acquistare in quantità maggiori per placare l’amministrazione USA. Gli idrocarburi saranno probabilmente in cima a quella lista.
Infatti, poco prima di assumere l’incarico, Donald Trump aveva chiesto all’Unione Europea di compensare il deficit commerciale degli Stati Uniti da 214 miliardi di dollari acquistando petrolio e gas”. Questo è fattibile, ma per Sansone ci vorrà del tempo. “È probabile – immagina - che entro il 2027, il 70% delle importazioni europee di gas naturale liquefatto provenga dagli Stati Uniti, rispetto al 50% attuale. Questo è un orizzonte temporale realistico che potrebbe alleviare le tensioni con la Casa Bianca”.
Un effetto indiretto sulle valute
I dazi significano maggiore volatilità nei mercati valutari. Secondo l’analisi di IbanFirst, “Alcune valute, che operano in mercati meno liquidi, potrebbero scendere bruscamente, come visto con il dollaro canadese e il peso messicano. In realtà, la nuova politica tariffaria degli Stati Uniti avrà conseguenze indirette sulle valute tramite la politica monetaria”.
E proprio a causa dei rischi inflazionistici, la Federal Reserve statunitense sembra essere già vicina alla fine del suo ciclo di abbassamento dei tassi.
Più nel dettaglio, per la prima parte dell’anno, IbanFirst prevede un altro solo taglio dei tassi da parte della Fed, “il che significa che i tassi di interesse potrebbero rimanere intorno al 4,25% per un po’”. Al contrario, “il resto del mondo continuerà a tagliare i tassi, in particolare nella zona euro, dove si prevede che la crescita economica raggiunga a malapena l’1% quest’anno (rispetto al 2,3% oltre l’Atlantico). Stimiamo che il tasso neutro nella zona euro sia intorno all’1,85%, il che potrebbe essere raggiunto già a giugno”.
Questo potrebbe creare una differenza di rendimento di 2,50% tra le due sponde dell’Atlantico.
La parità euro dollaro rimane scenario plausibile
“Logicamente – osserva Sansone -, potremmo assistere a uno spostamento degli investimenti da asset denominati in euro (azioni e obbligazioni) verso asset denominati in dollari, che offrono rendimenti molto più elevati con un profilo di rischio inferiore (il dollaro che gioca il suo ruolo di bene rifugio durante l’amministrazione Trump)”.
Il country manager ipotizza che entro giugno flussi di capitale, anche massicci, “continueranno probabilmente a sostenere strutturalmente il dollaro USA a spese dell’euro”. In altre parole, “ciò significa che un ritorno alla parità per l’EUR/USD rimane uno scenario plausibile, fino a una caduta a 0,95 entro la fine dell’anno”.
In sintesi, conclude Sansone, “la politica dei dazi non è direttamente dannosa per le valute principali. Tuttavia, a causa delle differenze nei tassi che ne derivano, essa può avere un'enorme influenza sulla direzione delle principali coppie valutarie”.
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