(Reuters) - Dopo le critiche degli industriali veneti al decreto Dignità, oggi tocca a quelli di Torino mettersi di traverso al governo per la posizione sull'alta velocità che definiscono ondivaga.
In una nota, il presidente degli imprenditori torinesi, Dario Gallina, dice: "Siamo allibiti di fronte valzer di posizioni in merito al futuro della Tav che ha avuto luogo in questi giorni, portato avanti dagli esponenti dell'esecutivo".
"Bloccare la Tav per il nostro territorio e il nostro Paese sarebbe una disgrazia, un gesto autolesionistico che condurrebbe a un progressivo e inevitabile isolamento del Nord Ovest, a sostenere dei costi scandalosi in quanto inutili, oltre che a una sempre più drammatica perdita di credibilità a livello internazionale".
Oggi i quotidiani "La Stampa" e "La Repubblica" hanno scritto che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrebbe deciso di porre fine alla Tav Torino-Lione, da sempre contestata dal M5s. Il vice premier e ministro dell'Interno leghista Matteo Salvini ha però detto che "occorre andare avanti e non tornare indietro".
Gallina fornisce una serie di dati a supporto della posizione degli industriali.
Se l'Italia si ritirasse dagli impegni sulla Torino-Lione, dice, dovrebbe sborsare circa 2 miliardi, tra la restituzione dei finanziamenti europei per la parte progettuale e le spese sostenute dalla Francia.
Inoltre al 7 giugno 2018 la spesa complessiva ammonta a 1,7 miliardi, spesi o impegnati per i lavori preliminari, mentre il totale degli stanziamenti italiani è di 2,5 miliardi.
La Torino-Lione servirebbe poi a trasferire il trasporto merci dalla strada alla ferrovia migliorando gli scambi con la Francia su ferro che oggi rappresentano solo il 9% a fronte delle esportazioni con la Svizzera che sfiorano il 70% per via ferroviaria.
Infine, secondo Gallina, "sono già stati scavati 23 km di gallerie, pari al 14% dei 160 km totali; il 21% dei lavori è già sotto contratto e si prospetta un’occupazione di oltre 8.000 posti di lavoro nei cantieri".
"Tornare indietro non si può e non si deve: le conseguenze sarebbero drammatiche", conclude l'industriale appellandosi alla parte politica "più sensibile allo sviluppo industriale e di crescita economica del Paese".
(Gianni Montani)