La minute del Fomc, il meeting della Boe sulla decisione dei tassi di interesse, la produzione industriale e la bilancia commerciale tedesca, dovevano fornire un po’ di verve ai rispettivi mercati di riferimento nella settimana appena trascorsa; mentre in realtà sono passate in secondo piano surclassate dalle notizie non confortanti provenienti dal Portogallo dopo che la banca Espirito Santo International non ha eseguito pagamenti per “alcuni clienti”, tale situazione ha generato un un calo del 17% nelle azioni dell’Espirito Santo International Financial Group, primo azionista della banca. Il titolo è stato sospeso dopo aver raggiunto i 51 euro per azione. La reazione non si è fatta attendere tra gli investitori, infatti l’ondata di panico nel vecchio continente si è protratta a macchia di leopardo; lo stato di insolvenza della banca portoghese ha provocato una forte contrazione della propensione al rischio innescando vendite aggressive sull’azionariato europeo e sui bond dei paesi periferici. In seguito l’ondata di sell – off ha colpito anche i listini asiatici e americani. In Italia, i dati negativi sulla produzione industriale, hanno finito di peggiorare la situazione; inoltre a deteriorare ulteriormente lo scenario ci si è messo anche il rapporto piuttosto pessimistico della Bce su come stanno andando le cose nei paesi periferici dell’area euro, Italia inclusa: dice la Bce nel bollettino di luglio che alle promesse di riforme non stanno seguendo i fatti. I Paesi dell’Eurozona «hanno attuato pienamente o in buona misura solo 7 delle 86 raccomandazioni specifiche per Paese approvate nel 2013 dal Consiglio Ue». In particolare, per quanto riguarda l’Italia su 6 raccomandazioni solo in un caso si è registrato «qualche progresso» e in 5 casi «progressi limitati». Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco è intervenuto all’assemblea dell’Abi per informare che la liquidità che l’istituto di Francoforte si appresta a erogare da qui al 2016 attraverso le nuove operazioni Tltro (vincolate alla concessione di prestiti all’economia) «potrà comportare per le banche italiane un ammontare fino a 200 miliardi di euro».
Dopo la quinta seduta negativa da parte delle Borse europee, la domanda che tutti gli investitori si pongono, è molto probabilmente continueranno a porsi nei prossimi giorni è: “siamo alla vigilia di una prolungata fase di sell-off dei mercati come avvenne nel 2008 e nel 2011, oppure è solo una semplice pausa di riflessione pre-estiva dopo 3 anni di rally?”. La risposta a tale domanda, almeno per il momento, ha una direzione univoca: i mercati mondiali, per diverse ragioni, sia tecniche, geopolitiche e congiunturali, in questa fase particolare hanno individuato un vero e proprio spartiacque per passare da una fase di irrazionale euforia condita da un eccesso di liquidità alla ricerca di acquisti e vendite dal rendimento più alto, ad una fase più tangibile dettata dal giusto bilanciamento tra rischio e guadagno. Dunque, dopo tre anni di rally globale, la fase di correzione in corso può essere paragonata ad una cura per disintossicare i mercati dai continui e frequenti aiuti delle banche centrali che ha spinto oltre ogni logica razionale le quotazioni dei titoli sia del continente asiatico che di quello europeo, creando una vera e propria bolla nel mercato obbligazionario e soprattutto dei titoli di stato dei paesi meno attendibili dal punto vista economico come Italia, Spagna, Grecia e Portogallo. Tale situazione è stata presa al volo da buona parte degli investitori per prendere profitti.
Ovviamente, finchè la Fed e la Bce continueranno a garantire liquidità a costo zero alle banche e agli intermediari, i mercati continueranno a crescere. Ma la Fed ha fatto sapere ai mercati di essere pronta a fermare già dal prossimo ottobre gli acquisti di bond con cui finanziava le banche; lo stop non ha provocato quel terremoto a Wall Street che tutti temevano, questo perché le future decisioni della Fed stanno pesando meno sul listino americano in quanto il “gap” tra la valutazione dei titoli e andamento dell’economia e molto più chiuso di quanto lo sia in Europa. In altre parole, se l'economia americana cresce, crescono anche i profitti delle aziende Usa, fattore-chiave per giustificare le valutazioni. Invece nel vecchio continente, la situazione è diametralmente opposta rispetto a quella americana, ovvero il “gap” tra la valutazione dei titoli europei e andamento dell’economia invece di diminuire tende ad aumentare; anzi addirittura dopo 4 anni di aiuti e centinaia di miliardi di dollari e di euro riversati nel sistema finanziario, l’economia europea non riparte ed in alcuni casi sembra addirittura peggiorare. In questo senso, la notizia della contrazione della produzione industriale italiana in maggio ha creato certamente disappunto, ma sono stati in realtà gli analoghi tonfi registrati da Francia e Germania a fare davvero paura. Il motivo è chiaro: che Italia, Spagna e Portogallo siano ad equilibrio macroeconomico precario è noto a tutti, ma se a segnare il passo sono anche corazzate come la Germania e la Francia, il problema è serio. Questi due paesi, infatti, sono considerati come un termometro dell'economia e del commercio globale: se vanno male, le ragioni vanno cercate su altre sponde degli oceani. E non a caso, proprio venerdì scorso si è appreso che la Cina ha segnato una contrazione superiore al previsto dell'interscambio commerciale e segnali di debolezza sono emersi anche in Giappone. Dopo 4 anni di manovre di sostegno, insomma, l'economia mondiale sembra segnare ancora il passo. In questo contesto, la ripresa evidenziata dall'economia americana non basta certamente da sola a garantire il traino del resto delle economie mondiali.
Ritornando al default portoghese, in realtà, non possiamo paragonare la bancarotta dell’istituto portoghese ad una crisi più sistemica in stile Lehman, grazie anche alle rassicurazioni fornite dall’istituto bancario portoghese Banco Espirito Santo, il quale ha precisato che le eventuali perdite derivanti dalla sua esposizione al gruppo che la controlla, Espirito Santo International, sono completamente coperte da riserve di capitale. La banca portoghese, su cui si sono accesi i fari del mercato sulla notizia che la sua controllante è in ritardo nel pagamento di alcuni bond, ha dichiarato di avere un cuscinetto di 2,1 miliardi di euro al di sopra del rapporto minimo Common Equity Tier I (8%) previsto dalle normative europee. Ma nonostante le rassicurazioni dall’istituto portoghese, ritorna nuovamente ad aleggiare nel vecchio continente lo spettro di default di banche importanti, nonostante le nuove regole sulla vigilanza bancaria, e soprattutto alla vigilia di un nuovo round stress test sui bilanci degli istituti.