Oggi è il turno delle FED e domani sarà quello della BCE. Entrambe sono attese aumentare i tassi di 25 bp.
I dati USA in uscita oggi sono numerosi e tutti importanti per i mercati. SI inizia alle 14:15 con gli occupati ADP di aprile (stima 143k contro 145 di marzo), alle 15:45 il PMI servizi di aprile (stime 53,5 punti contro 52,6 di marzo) e il PMI composito di aprile (stima 53,5 punti contro 52,3 di marzo), alle 16:00 l’ISM non manifatturiero di aprile (stima 51,8 punti contro 51,2 di marzo).
Ieri M3 di marzo dell’Europa è risultato in calo rispetto a febbraio, ma leggermente superiore alle attese (2,5% contro 2,4% atteso e 2,9% di febbraio). Leggermente meglio delle stime il PMI manifatturiero dell’Europa di aprile, ma peggiore rispetto a marzo (45,8 punti contro 45,5 atteso e 47,3 di marzo). L’inflazione YoY di aprile dell’Italia è risultata leggermente più alta delle aspettative (8,3% contro 8,2% atteso e 7,6% di marzo), mentre quella dell’Europa, pari al 7%, è risultata in linea, ma comunque in crescita rispetto al 6,9% di marzo. Prezzi alla produzione dell’Italia MoM di marzo invece in minore contrazione rispetto alle attese (-1,5% contro -4,6% atteso).
I dati macroeconomici USA e dell’Europa attesi per i prossimi mesi sembra stiano virando velocemente verso una recessione, con un’inflazione core che, nonostante sia in flessione rispetto ai picchi massimi, si mantiene tuttavia piuttosto elevata. Questo significa che, come dicevamo, entrambe le banche centrali sono attese aumentare di almeno 25 bp i tassi. In seguito, quello che al momento sembra più probabile, è che la FED si fermi in attesa di verificare gli effetti sull’economia reale dei passati aumenti e della crisi delle banche regionali, mentre la BCE continui con almeno altri 25 bp anche nel successivo meeting del 15 giugno.
Detto questo e se i rialzi dei tassi sono prossimi allo stop, è lecito chiedersi quando questi cominceranno a scendere. Come abbiamo più volte messo in luce, l’elevata, vischiosa e persistente inflazione core crediamo che difficilmente consentirà alle due banche centrali l’inizio di un processo di riduzione dei tassi entro la fine dell’anno. E comunque almeno fintanto che i dati di disoccupazione resteranno a livelli non preoccupanti (e in USA non lo sono fino al 4,5%). Probabilmente di riduzione dei tassi se ne riparla nel 2024. Se la FED si ferma e la BCE aumenta ancora i tassi, anche se marginalmente, la domanda da farsi è se il dollaro si indebolirà contro l’euro, dopo la corsa vista nel 2022,
In parte questo effetto lo si è già visto: il tasso di cambio dell'euro rispetto al dollaro statunitense è aumentato di quasi il 10% negli ultimi sei mesi, proprio sulla scia del sentiment economico moderatamente migliorato nella zona euro, nonché del rallentamento degli aumenti dei tassi di interesse da parte della FED, che ha ridotto l'appeal del biglietto verde come rifugio sicuro.
Dopo una storica corsa al rialzo lo scorso anno, l'indice nominale del dollaro ampio è sceso di quasi il 7% tra novembre 2022 e gennaio 2023. Tale debolezza riflette un'inversione media rispetto ai guadagni fuori misura del dollaro nel 2022. La confluenza di fattori che si erano dimostrati favorevoli al dollaro all'inizio del 2022 si è invertita da allora e i mercati stanno prezzando in modo aggressivo l'allentamento della FED sulla scia dei crescenti segnali di disinflazione.
Da non sottovalutare inoltre che il Governo USA è atteso spendere molto denaro per continuare a stimolare l'economia statunitense, il che aumenterà ulteriormente la posizione debitoria degli Stati Uniti. E’ possibile inoltre che i flussi di capitale verso i mercati e le valute emergenti continueranno a fluire a scapito del dollaro USA. Paesi come l'Indonesia e il Messico hanno abbassato aggressivamente i loro tassi di interesse, ma i tassi di interesse in questi paesi sono ancora notevolmente più alti che negli Stati Uniti.
L’indebolimento della valuta USA è, di solito, inversamente correlato a quello dell’oro, anche se non esiste una relazione fissa o ufficiale tra i due.
L'oro è un bene e in quanto tale, ha un valore intrinseco. Tuttavia, tale valore può fluttuare nel tempo, a volte in modo volatile. Di norma, quando il valore del dollaro aumenta rispetto ad altre valute in tutto il mondo, il prezzo dell'oro tende a diminuire in termini di dollari USA (e viceversa). E’ perché l'oro diventa più costoso in altre valute. Man mano che il prezzo di qualsiasi merce aumenta, tendono ad esserci meno acquirenti. In altre parole, la domanda diminuisce. Al contrario, quando il valore del dollaro USA si abbassa, l'oro tende ad apprezzarsi man mano che diventa più economico in altre valute. La domanda tende ad aumentare a prezzi più bassi.
L'oro non produce interessi in sé. Pertanto la sua domanda deve competere con le attività fruttifere. In altre parole, altre attività richiederanno una maggiore domanda a causa della loro componente di tasso di interesse. C'è anche un fattore psicologico legato al valore dell'oro. Il prezzo dell'oro è spesso sensibile al valore complessivo percepito delle valute fiat o cartacee in termini generali. Ecco un modo di guardare a questa relazione: ci sono circa 340 milioni di persone negli USA, mentre la popolazione mondiale totale è di circa 7,7 miliardi. Meno del 5% della popolazione mondiale vive in una nazione in cui il dollaro USA è la valuta nazionale.
Il ruolo dell'oro come valuta è onnipresente in tutto il mondo. Nel corso della storia, l'oro è stato denaro. Aristotele scriveva che il denaro deve essere durevole, divisibile, coerente e conveniente e che deve possedere un valore in sé. L'oro soddisfa tutte queste caratteristiche. Durante i periodi di paura o turbolenze geopolitiche, il prezzo del metallo storico tende a salire mentre la fiducia nei governi diminuisce. Durante i periodi di calma, il prezzo dell'oro tende a scendere. Essendo forse la valuta più antica e leggendaria del mondo, l'oro è un barometro essenziale in termini di benessere economico e politico globale.