Gran parte degli indici azionari asiatici si è mossa in territorio positivo e mercoledì anche le borse in Europa e USA hanno stornato le perdite.
La scorsa settimana, le scorte di greggio negli USA sono aumentate di 15 milioni di barili, leggermente meno del previsto, ma comunque molto, considerando che nessuno saprebbe dove stoccare il petrolio in eccesso se l’estrazione continuasse ai ritmi attuali. Si dice che decine di petroliere, con un carico complessivo di circa 20 milioni di barili, sufficiente a soddisfare il 20% della domanda giornaliera di petrolio, stiano aspettando al largo della costa occidentale USA senza un posto dove andare. A questo punto, la cocciutaggine dei paesi produttori di petrolio è molto bizzarra. L’Iran ha chiesto a USA e Canada di diminuire la produzione, mentre i paesi dell’OPEC dovrebbero raggiungere un altro accordo in seguito all’ultimo crollo.
Tuttavia, qualsiasi intervento che non sia un fermo totale della produzione non risolverebbe il problema della sovreccedenza di petrolio a fronte di una domanda molto bassa.
Un’altra opzione è alimentare tensioni geopolitiche in Medio Oriente per mettere a rischio le forniture e sostenere così i prezzi. Proprio ciò che sta facendo Donald Trump.
Il greggio WTI è stato scambiato a un minimo di $10 al barile, per poi rimbalzare a $15 sull’onda del tweet di Trump, in cui ordina alla marina USA di “abbattere e distruggere qualsiasi cannoniera iraniana se infastidisce le navi (USA) al largo”. Tuttavia, poiché non c’è da temere che le scorte di petrolio finiscano presto, seminare caos nella regione potrebbe non spingere i prezzi in modo sostenibile. Prevalgono i rischi al ribasso, circolano voci che i prezzi del petrolio potrebbero precipitare a -$100 al barile.
In Europa, in gioco c’è il futuro dell’unione. Dopo che la Banca Centrale Europea (BCE) ha raggiunto i limiti dello stimolo monetario possibile e Christine Lagarde ha spinto con decisione per lo stimolo fiscale, questa volta i ministri delle Finanze europei sono stati lasciati a se stessi di fronte alla più grande recessione mai affrontata dalla sua fondazione. Gli investitori si aspettano che, dal vertice di oggi, arrivi l’annuncio di un piano di salvataggio da 2 mila miliardi di euro per affrontare la crisi. Crediamo che un accordo di ampia portata sia molto probabile, invece l’emissione dei cosiddetti corona-bond rimane un sogno lontano, perché i paesi più ricchi e meno colpiti non sono convinti che sia una buona idea emettere debito comune, perché loro potrebbero finanziare il debito con bond a rendimenti relativamente bassi. E anche il loro rapporto debito/PIL esploderà dopo settimane di blocco delle attività economiche. Il rapporto debito/PIL della Germania potrebbe salire al 10%, e quello italiano potrebbe raggiungere un livello pauroso, pari al 150%. In pratica, bisognerà vedere quanto siano pronti a pagare i paesi più ricchi per mantenere intatta l’unione. La divergenza fra i bond del centro e della periferia dovrebbe continuare ad allargarsi, frenando il potenziale al rialzo dell’euro. L’EUR/USD testa il supporto a 1,08. Una delusione potrebbe far precipitare la moneta unica sotto il livello a 1,08, mentre un esito soddisfacente del vertice UE potrebbe contribuire a far migliorare la propensione verso l’euro, sostenendo un nuovo tentativo verso la resistenza a 1,10.
Sul fronte dei dati, le cifre pubblicate ieri hanno confermato che, nel Regno Unito, l’inflazione è scesa dall’1,7% all’1,5% a marzo, in linea con le attese del mercato. È probabile un ulteriore calo sulla scia dell’attività anemica e dei prezzi bassissimi del petrolio.
La stima flash su PMI manifatturiero e servizi, in uscita oggi, dovrebbe confermare una contrazione più rapida dell’attività nel mese di aprile nel Regno Unito, in Europa e negli USA, perché le chiusure generalizzate hanno paralizzato le attività economiche a un livello senza precedenti nella storia moderna.
L’oro è rimbalzato a $1720 l’oncia, confermando sempre di più la correlazione positiva che si è venuta a creare con gli asset rischiosi su base giornaliera.
Sul fronte delle trimestrali, la compagnia aerea Delta Airlines ha annunciato una flessione più marcata degli utili nel T1, perché gli aeri rimasti a terra a causa del coronavirus hanno avuto un forte impatto sui viaggi. Il petrolio a buon mercato dà però ragione di credere che le compagnie aeree potrebbero riprendersi più rapidamente, quando il settore ripartirà.
Oggi più di 130 società diffonderanno i rapporti sugli utili, fra queste anche Intel e Citrix Systems, che dovrebbero aver beneficiato del blocco dovuto al coronavirus, che ha tuttavia fatto volare la domanda di strumenti per il lavoro in remoto. La domanda è: agli investitori basterà questo picco una tantum, legato al coronavirus, dell’attività?