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Una nuova recessione all'orizzonte?

Pubblicato 13.11.2018, 09:30

A dieci anni di distanza dalla grande recessione, si profila all’orizzonte una nuova crisi.

I livelli dei mercati azionari sui massimi storici e la tendenza all’aumento dei prezzi del settore immobiliare, rispecchiano lo scenario che ha preceduto lo schianto del 2008, quando dopo un lungo periodo di tassi d’interesse molto bassi, la Fed negli Stati Uniti ha avviato una politica di aumento dei tassi (esattamente come sta avvenendo in questi ultimi mesi), impattando negativamente sulla ricchezza delle famiglie e sui consumi.

Negli anni precedenti la recessione del 2008 infatti, la Fed ha ridotto i tassi d’interesse al minimo dell’1%, abbassando così gli interessi sui mutui e favorendo la crescita dei prezzi degli immobili di circa il 10% annuo.

LA STORIA SI RIPETE?

Quando la Fed nel 2005 ha iniziato ad aumentare i tassi, la bolla immobiliare è scoppiata nel giro di due anni.

Infatti molte persone hanno visto lievitare i propri mutui e non sono più riusciti a farvi fronte, vedendosi così ipotecare le case.

Le vendite delle proprietà pignorate hanno provocato un ulteriore calo delle quotazioni, portando l’indice nazionale dei prezzi delle case a diminuire del 30% in meno di tre anni.

Le banche che detenevano i mutui e i prodotti finanziari a essi correlati, hanno visto crollare i rispettivi profitti.

Nel 2009 ben 140 banche statunitensi sono fallite e, quelle che sono “sopravvissute”, spaventate dall’acuirsi della crisi hanno evitato di erogare nuovi mutui e prestiti alle imprese e addirittura si sono rifiutate di concedere prestiti ad altre banche i cui bilanci erano anch’essi in calo.

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Il calo dei prezzi delle case dal 2007 al 2009 e la concomitante crisi dei mercati azionari, ha fatto crollare la spesa dei consumatori spingendo così l’economia in recessione.

Il crollo del credito bancario ha dato il colpo di grazia al sistema e ha contribuito a rallentare la ripresa negli anni successivi.

Tornando all’attualità, la bolla immobiliare riscontrabile in alcune aree del mondo non è paragonabile a quella pre 2008, dunque il rischio principale è dato da un calo del mercato azionario che, unitamente alla crisi del debito delle famiglie americane, potrebbe indurre una nuova contrazione dei consumi e spingere l’economia in recessione.

Oggi i prezzi delle azioni sono alti perché sostanzialmente i tassi di interesse a lungo termine sono estremamente bassi.

Infatti il tasso di interesse sui titoli del tesoro americano è inferiore al 3%, il che significa che il rendimento di queste obbligazioni al netto dell’inflazione è vicino allo zero.

Dunque la ricerca di maggiori rendimenti spinge gli investitori verso le azioni, facendo salire i prezzi delle stesse.

Ma i tassi a lungo termine stanno iniziando a salire e probabilmente aumenteranno sostanzialmente nel prossimo futuro, spinti dall’inflazione.

US interest rate

E poiché il deficit di spesa federale annuo esploderà nel prossimo decennio, occorreranno tassi di interesse a lungo termine sempre più alti per convincere gli investitori ad assorbire il debito con l’acquisto dei titoli di stato.

Non sarebbe sorprendente vedere nel prossimo futuro il rendimento dei Treasury a 10 anni superiore al 5%, con il rendimento reale che, al netto dell’inflazione, passa da zero a oltre il 2%.

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Secondo l’economista statunitense Martin Feldstein, man mano che i tassi d’interesse a breve e a lungo termine si normalizzeranno, è probabile che anche i prezzi azionari tornino sui livelli medi del rapporto prezzo/utili.

Se il P/E ratio (Price-Earnings Ratio) dello Standard and Poor’s 500 regredisce alla sua media storica, oltre il 30% al di sotto del livello attuale, $ 10 trilioni della ricchezza delle famiglie verrebbero spazzati via.

S&P 500 P/E ratio

Secondo Feldstein: “La passata relazione tra ricchezza delle famiglie e spesa dei consumatori suggerisce che un tale calo ridurrebbe la spesa annuale di circa $ 400 miliardi, riducendo il prodotto interno lordo del 2%. Aggiungendo a questa crisi della spesa gli effetti sugli investimenti delle imprese, il rischio di veder piombare l’economia nuovamente in recessione è alto.”

QUALE SCENARIO CI ASPETTA

Solitamente le recessioni sono di breve durata, con una media di circa un anno tra lo scoppio della crisi e l’inizio della ripresa, poiche le banche centrali rispondono alla crisi tagliando bruscamente i tassi d’interesse.

Questa volta però le banche centrali dei vari paesi non hanno praticamente spazio per una manovra simile (alla fed va un po’ meglio dato che le ultime previsioni danno i tassi al 3% entro il 2020, mentre in Europa ad esempio siamo ancora in prossimità dello zero).

Il disavanzo pubblico negli USA dovrebbe superare il trilione di dollari annuo nei prossimi anni e si prevede che il debito pubblico federale salga dal 75% del PIL a quasi il 100% entro la fine del decennio.

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Anche da questo punto di vista all’Europa non va meglio, con i disavanzi pubblici degli stati membri in costante aumento e i debiti pubblici sempre più sotto pressione.

In questo scenario, la prossima recessione potrebbe essere più lunga e profonda del solito e sfortunatamente, non c’è nulla a questo punto che le banche centrali o qualsiasi altro attore governativo possa fare per evitare che ciò accada.

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