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Banche alla riscossa

Pubblicato 06.02.2024, 08:58
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Non parlo della Fiat. Non è più un'azienda italiana” (Cesare Romiti)

Banche alla riscossa. Il rinvio del primo taglio dei tassi di interesse da parte di Fed e Bce riporta sotto i riflettori i titoli bancari. Gli istituti di credito hanno chiuso il 2023 con risultati record come dimostrano quelli appena diffusi da Unicredit (BIT:CRDI): circa €10 miliardi che finiranno nelle tasche degli azionisti sottoforma di dividendi e buyback. Un payout pari al 100% che farà da benchmark anche in Europa. Il titolo ha chiuso la seduta in rialzo del 9% sui massimi da 5 anni. Sembra passato un secolo dalla pandemia quando le banche centrali imposero un blocco delle politiche di remunerazione degli azionisti. Tanta generosità è frutto dell’impennata del costo del denaro che ha portato a un forte aumento della marginalità, in presenza di una qualità del credito elevata. Nella prospettiva di una lenta inversione della politica monetaria, e di un soft landing, i profitti delle banche continueranno quindi a correre sostenendo la performance dei titoli del settore. In questo contesto non stupisce quindi che l’indice delle blue chip italiane sia stato ieri il migliore d’Europa con un rialzo dello 0,76% superando la soglia dei 31mila punti per la prima volta da 16 anni. Di riflesso hanno sottoperformato i titoli di Stato portando a un rialzo dei rendimenti e dello spread.


Made non in Italy

Con meno di 900mila auto l’Italia è al 19mo posto nella produzione mondiale di automobili, il 50% in meno rispetto alla Francia e 1/3 della Spagna. Negli anni ‘90 nel Paese venivano prodotte oltre 2 milioni di unità. In questo contesto nella giornata di ieri è circolata la notizia di una possibile aggregazione tra Stellantis (BIT:STLAM) e Renault (EPA:RENA). Attualmente il primo azionista della compagnia automobilistica è la famiglia Agnelli, attraverso la holding Exor (BIT:EXOR), con il 15% del capitale, alle sue spalle con l’8% cca a testa gli ex proprietari di Peugeot e lo Stato francese. Una fusione con Renault darebbe vita a uno dei più grandi produttori di autoveicoli al mondo, con 6 milioni di vetture prodotte e un fatturato di €200 miliardi ma metterebbe in minoranza Exor marginalizzando ancora di più il peso dell’Italia nel capitale con la conseguenza di ridurre ulteriormente la produzione nel Paese. Notizia che arriva a pochi gironi dall’allarme lanciato su Bloomberg dal CEO Carlos Tavares: “senza sussidi all’auto elettrica Mirafiori e Pomigliano sono a rischio tagli”. In Italia Stellantis impiega 40mila persone, 12.000mila diretti nel polo di Torino e gli altri in aree del Paese dove una chiusura della produzione avrebbe un impatto sociale molto negativo. Per questo il Governo italiano potrebbe investire sino a €4miliardi per entrare nel capitale di Stellantis per riequilibrare i rapporti di forza.

Agricoltura alla riscossa

Da alcune settimane l’Europa è scossa da manifestazioni da parte degli agricoltori. Partite in Germania e Francia, si stanno estendendo anche all’Italia. Le proteste sono in gran parte organizzate da gruppi di attivisti o piccole associazioni, che agiscono in modo indipendente ma hanno alcune posizioni comuni: criticano le politiche agricole europee, considerate eccessivamente ambientaliste e chiedono ai governi di mantenere alcune agevolazioni fiscali a favore degli imprenditori agricoli, che sono in difficoltà a causa dell’aumento dei costi di produzione. La protesta guarda alle elezioni politiche europee con l’intento di influenzare la prossima maggioranza di Governo, spingendola a rivedere parte delle politiche previste dal green new deal. Ma anche l’agricoltura intensiva non potrà che adeguarsi alle mutate esigenze climatiche e in questo senso esistono già dei casi di successo nell’ambito della cosiddetta “economia circolare” che punta al recupero e al riuso della materia, anche agricola, per soddisfare molteplici esigenze riducendo l’impatto ambientale. È questo il caso di Green Oleo, società quotate su Euronext (EPA:ENX) Growth Milan, tra i pochi player mondiali in grado di lavorare i derivati dell’olio di oliva, per realizzare prodotti a maggior valore aggiunto e marginalità principalmente in settori quali la cosmetica, il life science e l’agronomico. La società ha annunciato ieri di aver completato la misurazione della Product Carbon Footprint (PCF) dei propri prodotti oleochimici, considerando tutto il loro ciclo di vita, dalla produzione della materia prima, fino all’uscita dallo stabilimento.

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