Ancor prima che il greggio cominciasse gli scambi del 2020, Donald Trump ha dato in pasto ai mercati una notizia rialzista legata alla Cina.
La vigilia di Capodanno, il presidente USA ha infatti annunciato che l’attesissimo accordo commerciale preliminare tra Washington e Pechino sarà concluso nel giro di due settimane. “Firmerò il nostro ampio ed esauriente accordo commerciale di Fase Uno con la Cina il 15 gennaio”, ha scritto Trump in uno dei suoi soliti tweet scritti in maiuscolo.
“La cerimonia avrà luogo alla Casa Bianca. Saranno presenti rappresentanti di alto livello della Cina. Successivamente mi recherò a Pechino, per cominciare le trattative della Fase Due!”, ha affermato, concludendo con il suo solito punto esclamativo.
Il tweet pre-Capodanno di Trump non ha spinto su il prezzo del greggio
Considerato l’entusiasmo del presidente circa l’imminente accordo, la notizia avrebbe dovuto incoraggiare i tori del greggio a darsi alla pazza gioia con un’impennata del prezzo della materia prima.
Tuttavia, il greggio West Texas Intermediate scambiato a New York, il riferimento USA, si è attestato al ribasso nell’ultimo giorno di scambi del 2019, scendendo di 62 centesimi, o dell’1,0%, a 61,06 dollari al barile. Il Brent, scambiato a Londra, il riferimento globale, è sceso di 67 centesimi, circa l’1,0%, attestandosi a 66,65 dollari al barile.
Ma il greggio ha comunque segnato un forte rialzo mensile, trimestrale ed annuale
Nonostante il calo, il greggio di riferimento USA ha segnato un’impennata dell’11%, il rialzo mensile maggiore da gennaio.
Il greggio britannico è schizzato del 7% su dicembre, il rialzo mensile più alto da aprile. Sull’anno, il WTI ha registrato +34% ed il Brent +24%, i guadagni annuali maggiori dal 2016 per entrambi i prezzi.
Quindi, perché i tori del greggio ed i loro algoritmi legati alle notizie hanno ignorato il tweet di Trump sulla Cina della vigilia di Capodanno? Non era la notizia che i mercati avevano aspettato per tutto l’anno? Lo scontro commerciale ha limitato in più occasioni i rialzi del greggio, risultando persino in dei selloff nonostante le tensioni geopolitiche e le carenze di scorte.
Data l’importanza della Cina come compratore di greggio numero 1 al mondo (e soprattutto come principale importatore delle esportazioni petrolifere USA prima dell’introduzione dei dazi reciproci tra i due paesi a metà del 2018), questo accordo provvisorio di fase uno non sarebbe dovuto risultare in una chiusura positiva del greggio il 31 dicembre, che sarebbe stata emblematica per l’impennata del 2019?
Sì e no.
Più clamore che fatti finora sull’accordo commerciale
Visto tutto il clamore della fase uno, bisogna ricordare che si tratta di un accordo che ha richiesto molto tempo. I prezzi del greggio, infatti, sono schizzati nell’intero quarto trimestre, dopo che Trump ha cominciato ad alimentare le aspettative, a partire da ottobre, dell’arrivo di una firma tra Washington e Pechino.
L’intera impennata di fine anno di Wall Street è stata prospettata sulla promessa di un accordo commerciale, con Trump ed i suoi colleghi (fra cui il consigliere economico della Casa Bianca Larry Kudrow, il Rappresentante per il Commercio Robert Lighthizer, il Segretario al Tesoro Steve Mnuchin ed il Segretario al Commercio Wilbur Ross) che hanno sfruttato il mercato con costanti aggiornamenti ricchi di clamore ma poveri di fatti.
I prezzi del greggio sono rimbalzati del 13% solo nel quarto trimestre. Si tratta di un forte rialzo per un accordo commerciale di cui i mercati devono ancora scoprire i dettagli, escludendo la promessa di Trump del 31 dicembre secondo cui sarà un accordo “molto ampio ed esauriente”, aggettivi non insoliti per il presidente.
Questo non significa che i prezzi del greggio non continueranno a schizzare nelle prossime due settimane fino alla firma.
I prezzi potrebbero mantenere il rialzo nell’ottimismo per il commercio
Il mercato potrebbe benissimo schizzare ancora date le nubi che incombono sulle prospettive economiche cinesi e la domanda di greggio, al momento incoraggiate dall’annuncio di Trump.
I dati pubblicati dall’Ufficio Nazionale di Statistica cinese la scorsa settimana hanno rivelato un significativo miglioramento della redditività delle imprese industriali a novembre, con i profitti combinati in aumento del 5,4% su base annua. Si tratta di una bella inversione di rotta rispetto al crollo annuo del 9,9% di ottobre.
La ripresa è arrivata sulla scia dei dati cinesi migliori del previsto sulla produzione industriale e le vendite al dettaglio a novembre, che hanno supportato l’idea di una ripresa economica diffusa. E soprattutto il miglioramento di novembre ha preceduto la notizia di dicembre dell’accordo di fase uno con gli Stati Uniti.
Le raffinerie cinesi hanno inoltre raffinato greggio a tassi da record per la maggior parte dell’anno, grazie non da ultimo all’aggiunta di maggiore capacità di raffinazione da parte di compagnie indipendenti, note come “teapot”. A marzo Bloomberg aveva riportato che durante l’anno si sarebbe registrata un’aggiunta di quasi 900.000 barili al giorno di capacità di raffinazione, che avrebbe continuato a spingere la domanda.
C’è un rovescio della medaglia anche per la storia rialzista cinese
Ma la Cina sta anche creando delle situazioni che potrebbero mettere a rischio l’impennata del greggio.
La prima serie cinese di quote di esportazione di prodotti petroliferi relativa a quest’anno è il 53% in più rispetto a quella del 2019, scrive Reuters. Con 28 milioni di tonnellate, le quote di esportazione di prodotti petroliferi probabilmente non faranno che peggiorare l’esubero già preoccupante sui mercati asiatici che ha danneggiato le righe dei risultati dei bilanci delle raffinerie. Queste quote potrebbero essere una spina nel fianco per i tori del greggio.
L’impennata del 2019 del greggio è stata supportata in gran parte dai tagli alla produzione operati dall’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio (OPEC). Da gennaio, l’OPEC, con a capo i sauditi, insieme alla Russia sua alleata in base al patto OPEC+, ha cercato di applicare un taglio alla produzione quotidiano di 1,2 milioni di barili. A dicembre, quando il patto stava per scadere, l’OPEC+ ha reso noto che avrebbe aumentato i tagli a 2,1 milioni di barili al giorno a partire dal 2020.
Malgrado il piano per inasprire i tagli alla produzione, l’OPEC+ potrebbe incontrare delle difficoltà nel tenere i prezzi del greggio alti nel 2020, con la produzione di scisto USA che potrebbe aumentare, secondo alcuni trader esperti. Sebbene la produzione petrolifera statunitense nel complesso abbia segnato il massimo storico di 12,9 milioni di barili al giorno nel 2019, la produzione di scisto (che rappresenta più della metà di quella totale) si è relativamente ridotta quest’anno. I produttori petroliferi USA hanno complessivamente ridotto il numero degli impianti di trivellazione attivi nel paese a 677 dagli 885 della fine del 2018, con una diminuzione di 208 unità o del 24%.
Da non sottovalutare una ripresa della produzione di scisto USA
“Il principale motivo della riduzione del 24% degli impianti di trivellazione USA attivi quest’anno è stato l’incertezza del prezzo che persiste da metà anno”, spiega John Kilduff, socio fondatore dell’hedge fund energetico Again Capital a New York. Il WTI ha oscillato tra i 50 ed i 55 dollari per la maggior parte dei mesi estivi, pesando sul mercato del greggio.
Kilduff afferma che, considerata la decisione dell’OPEC di raddoppiare i tagli dei tassi arrivata solo ad inizio dicembre, ci vorrà del tempo prima che i trivellatori USA riaprano i rubinetti e ci diano dentro con la produzione.
“Con i prezzi del greggio che stanno così, ci possiamo aspettare altre sfide per la produzione”.
Aggiunge Kilduff: “Il WTI sopra i 60 dollari è molto, molto remunerativo per lo scisto USA”.
Le scorte di greggio non-OPEC, con in testa lo scisto USA, dovrebbero aumentare di 2,1 milioni di barili al giorno nel 2020, in base alle stime dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) con sede a Parigi.
Il fabbisogno globale potrebbe essere di 900.000 barili al giorno in meno
La domanda globale di greggio, nel frattempo, dovrebbe salire di 1,2 milioni di barili al giorno il prossimo anno, afferma l’EIA. Ciò significa che il mondo avrà bisogno di 900.000 barili in meno ogni giorno sia dai produttori OPEC che non-OPEC, una situazione che potrebbe drasticamente controbilanciare i tagli dell’OPEC+.
“Il mercato petrolifero continua a vedere una solida produzione di greggio da parte di USA, Canada e Brasile, il che potrebbe portare ad un eccesso di scorte nel 2020”, si legge in un recente report dell’Istituto della Finanza Internazionale (IIF) di Washington D.C.
Il report, compilato da un team di esperti guidato da Garbis Iradian, capo economista dell’IIF per il Medio Oriente ed il Nord Africa, stima che la produzione petrolifera mondiale cresca di 1,9 milioni di barili al giorno nel 2020 rispetto al 2019. Più della metà del totale arriverà dagli Stati Uniti. Sebbene l’aumento delle scorte sia poco meno del 2% del totale, il mercato petrolifero si trova sempre in un equilibrio delicato, perciò eventuali piccoli cambiamenti delle scorte o della domanda possono avere un impatto significativo sui prezzi.
Ma le tensioni globali potrebbero dare una mano ai tori
I tori del greggio potrebbero però avere un jolly a loro favore: le tensioni geopolitiche.
L’esercito USA ha effettuato degli attacchi aerei contro le milizie Kataib Hezbollah appoggiate dall’Iran nel fine settimana. Contrariati per gli attacchi aerei, i manifestanti hanno preso d’assalto l’Ambasciata USA a Baghdad ieri, sebbene si siano poi ritirati con l’arrivo di ulteriori truppe USA.
“Una serie di fattori di rischio geopolitico… dovrebbe supportare il greggio”, spiega Phil Flynn, analista del Price Futures di Chicago, solitamente rialzista sul greggio.