Di solito quando andiamo ad analizzare qualsiasi coppia di valute del panorama valutario, sia major o cross che sia, è notorio suddividere l’analisi in due tronconi principali, ovvero si parte prima da un’analisi di lungo periodo e poi si passa a restringere l’intervallo temporale in modo da focalizzare la vision nel breve – medio termine. Nella nostra fattispecie, per quanto riguarda la coppia “guest star” del panorama forex, ovvero la coppia moneta unica contro dollaro statunitense, prima di una importante flessione ribassista definitiva prevista nel lungo termine, movimento che tra l’altro è atteso da buona parte degli investitori, è importante avere molta prudenza sugli scambi a breve termine. Ora, cerchiamo di capire i motivi che delineano tale cautela analizzando i movimenti ribassisti negli ultimi due anni. I trend short del fiber, nel periodo che abbiamo deciso di mettere sotto esame, sono stati piuttosto fragili per tre ragioni principali.
Surplus della bilancia commerciale.
In primis c’è il surplus della bilancia commerciale, che ormai non riguarda più soltanto la Germania (che tra l’altro ha un avanzo primario record). Anche i Piigs (ovvero termine utilizzato da giornalisti economici, per lo più di lingua inglese, per riferirsi a diversi Paesi dell'Unione europea, in particolare Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, le cui iniziali formano l'acronimo in questione) stanno registrando surplus significativi, complice il fatto che la domanda domestica è costantemente ferma al palo: si importano sempre meno merci straniere, visto che i redditi disponibili sono in continuo calo. Siccome l’eurozona esporta molto più di quello che importa, il surplus commerciale che ne scaturisce crea una forte domanda di euro.
Boom di flussi di capitali esteri.
Il secondo motivo alla base della tenuta della moneta unica sul dollaro è il boom dei flussi di capitali esteri verso l’area euro, di gran lunga superiori ai deflussi. Ciò avviene perché, in uno scenario di mercato con tassi a zero un po’ dappertutto, gli investitori si stanno lanciando a mani basse sugli asset denominati in euro che ancora riescono a offrire rendimenti dignitosi al netto dell’inflazione.
Prezzi al consumo.
Il terzo motivo ci porta proprio alle dinamiche dei prezzi al consumo, che continuano a diminuire pericolosamente tanto da aver spinto la BCE ad agire in modo aggressivo. A giugno l’inflazione dell’eurozona si è attestata allo 0,5%, circa un terzo in meno di quella calcolata negli Stai Uniti. Il dato è rimasto invariato rispetto al mese precedente e deriva da un aumento dei prezzi del settore dei servizi (+1,3%) compensato da un modesto rialzo dell'energia (+0,1%), da prezzi invariati per i beni industriali, esclusa l'energia, e da una flessione di alimentazione, bevande alcoliche e tabacchi. Mentre nel Vecchio Continente l’inflazione tende verso lo zero, con rischi di deflazione, dall’altra parte dell’oceano la prima potenza economica del pianeta sta sperimentando un trend leggermente crescente che vede i prezzi al consumo puntare verso il target del 2%. Le dinamiche relative alle basse aspettative di inflazione sostengono così l’euro, che almeno per ora si sta dimostrando un vero osso duro non facile da indebolire soltanto attraverso la politica monetaria della BCE. Ora tocca ai governi nazionali fare la loro parte, altrimenti l’eurozona rischia una lunga e snervante fase di stagnazione economica senza alcuna via d’uscita.
Questi sono i motivi principali inerenti al persistente rialzo della coppia euro – dollaro dal luglio del 2012. Dal 5 giugno, i primi due fattori a favore dell’EUR sono soggetti a un nuovo orientamento monetario, derivante dal pacchetto aggiuntivo di stimoli della BCE. Il pesante pacchetto non mira solo ad aumentare la liquidità, ma anche a spingerla verso l’economia reale attraverso le TLTRO. Queste misure faranno ovviamente lievitare il bilancio della BCE e dovrebbero far aumentare il moltiplicatore di moneta, risollevando, in teoria, le dinamiche inflattive. Anche se dal 13 giugno prevalgono i corti nelle posizioni nette sull’euro, la debolezza dell’eurodollaro non è ancora su un percorso programmato. Gli operatori dovrebbero fare attenzione ai dati economici negli USA (e al tono della Fed) e alle dinamiche inflattive nell’Eurozona. L’obiettivo principale della Bce è assicurare la stabilità dei prezzi. A questo punto, la banca centrale vuole mettere insieme tutti gli strumenti a disposizione per far salire l’inflazione verso l’obiettivo del 2%. Ciò nonostante, Draghi non può salvare l’Eurozona da solo, l’efficienza degli interventi della BCE dipende dalla preziosa collaborazione dei governi europei. Come ha detto Draghi, il consolidamento fiscale dovrebbe avvenire in modo che sia consono alla crescita. È fuori discussione che l’attuale consolidamento fiscale nei paesi periferici dell’Eurozona è troppo rigido perché possa stimolare la domanda interna (e quindi l’inflazione). Detto ciò, in un’ottica di medio-lungo termine, manteniamo la nostra impostazione ribassista sull’EUR/USD, anche se non sottovalutiamo l’euro-dollaro nell’immediato.