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FED e BCE, niente tagli dei tassi nel 2023 nonostante la recessione alle porte

Pubblicato 12.05.2023, 06:18

Ieri i dati USA sono risultati contrastati: i prezzi alla produzione MoM di aprile sono cresciuti dello 0,2% contro 0,3% atteso e -0,4% di marzo, mentre i sussidi alla disoccupazione sono risultati più elevati rispetto alle attese (264k contro 245k attesi e 242k della scorsa settimana).
 
Siamo nel pieno del secondo trimestre dell’anno e vogliamo cercare di ragionare su come tendenzialmente potrebbe evolversi la situazione generale.
 
Il vento contrario più forte per l'economia globale si è spostato da una crisi energetica e la relativa compressione dei redditi reali, ad una potenziale crisi bancaria e al relativo freno al credito. Le banche sono tuttavia ben più capitalizzate che in passato e non crediamo in una crisi bancaria conclamata, ma in un inasprimento delle condizioni creditizie che peserà sull'attività economica in generale.
 
Siamo convinti che tutte le principali economie avanzate sperimenteranno una recessione (da capire come sarà) entro la fine dell'anno. Con le banche centrali ancora attente ai rischi di inflazione, i tassi di interesse rimarranno ai massimi per diversi mesi.
 
Questo significa che nel 2023 non prevediamo tagli ai tassi di interesse. Ma quando arriveranno, questi saranno più aggressivi di quanto normalmente si creda. Nel frattempo, la spinta alla riapertura della Cina è ormai in gran parte terminata, ma i bilanci deboli e il limitato sostegno politico stanno a significare che è più probabile che la ripresa cinese deluderà piuttosto che sorprendere d'ora in avanti.
 
Se vogliamo, la migliore notizia degli ultimi mesi è stata la caduta dei prezzi dell'energia. Stante gli attuali livelli di stoccaggio e consumo e in assenza di ulteriori shock esterni, è possibile prevedere che i prezzi del gas e del petrolio alla fine dell'anno saranno inferiori di circa il 10% rispetto a quelli attuali. Ciò significa che entro la fine dell'anno l'energia passerà da una spinta a un freno all'inflazione contribuendo ad alleviare drasticamente la contrazione del costo della vita. Le conseguenze sono particolarmente positive per l'Europa, dove il colpo ai redditi reali è stato maggiore.
 
L'altra sorpresa positiva è stata la resilienza dell'attività nelle economie avanzate, il che significa che il PIL ha iniziato l'anno su una base più solida di quanto ci aspettassimo. Ciò è dovuto in parte al fatto che le carenze di approvvigionamento sono diventate un non problema, tornando a livelli definibili normali che, riteniamo, contribuirà anche a ridurre l'inflazione.
 
Ma, allo stesso tempo, gli effetti ritardati dei precedenti inasprimenti delle politiche hanno iniziato a manifestarsi. La prova più evidente di ciò si è avuta nel settore bancario, dove il crollo di due banche statunitensi e l'acquisizione forzata di Credit Suisse hanno sollevato anche timori sulla salute delle banche più in generale. Chiaro che oggi le banche sono regolamentate molto meglio di quanto non fossero al tempo della crisi finanziaria del 2008 e sono generalmente anche molto meglio capitalizzate, con coefficienti patrimoniali Tier 1 molto al di sopra del minimo regolamentare. Questo non significa che comunque non esistano rischi al ribasso per esposizioni nascoste o un'improvvisa perdita di fiducia e di depositi. La nostra sensazione è che comunque una crisi bancaria conclamata sarà evitata.

Anche le banche dei mercati emergenti sembrano relativamente stabili e la maggior parte dei mercati emergenti è ora meno esposta ai prestiti esteri. Ciononostante, le banche inaspriranno i criteri di concessione del credito e limiteranno i prestiti, con effetti negativi per imprese e famiglie. In effetti, lo stavano facendo anche prima del crollo di SVB a marzo.
 
La spesa sensibile ai tassi di interesse si indebolirà ulteriormente ed i prezzi degli immobili potrebbero diminuire bruscamente. Siamo convinti che negli USA, le tensioni nel settore bancario sfoceranno in un ulteriore significativo inasprimento delle condizioni del credito (anche perché questo aiuta la FED), rendendo più probabile che l'economia entri in recessione quest'anno. Ma data la viscosità dell'inflazione, riteniamo che la FED aspetterà fino alla fine dell'anno prima di tagliare i tassi di interesse.
 
Anche in Europa ci aspettiamo un inasprimento delle condizioni del credito, anche se non nella stessa misura degli USA. Tuttavia, con la BCE che probabilmente continuerà con gli aumenti dei tassi di fronte a pressioni inflazionistiche più ostinate, quest'anno ci aspettiamo che anche la zona euro subisca una contrazione.
 
Per quanto riguarda la Cina, è probabile che quest'anno la crescita del suo PIL superi l'obiettivo del governo del 5% a seguito della rapida riapertura del paese. Tuttavia, la maggior parte di questo rimbalzo dell'attività è ormai alle nostre spalle. E con bilanci deboli in patria e domanda debole all'estero, combinati con un sostegno politico limitato, la ripresa cambierà marcia verso la fine del 2023.
 
Per ora, le banche centrali stanno cercando di separare i rischi per la stabilità finanziaria dai rischi di inflazione, offrendo generosi prestiti e linee di swap per mantenere la liquidità, mentre allo stesso tempo continuano ad aumentare i tassi di interesse per arginare l'inflazione. Ciò è comprensibile con i mercati del lavoro ancora molto tesi e la crescita salariale fuori controllo rispetto ai loro obiettivi di inflazione.
 
Ma, col tempo, è decisamente probabile che l'impatto dell'inasprimento delle politiche monetarie spinga in recessione le principali economie avanzate. Una volta che ciò accadrà, la domanda debole contribuirà a ridurre l'inflazione sottostante. È probabile che anche la disoccupazione aumenti, anche se riteniamo in misura minore rispetto alle recessioni precedenti.
 
Quindi, mentre i tassi di interesse rimarranno ai loro massimi per diversi mesi, i tagli quando arriveranno saranno più netti di quanto la maggior parte si aspetti. Le banche centrali dei mercati emergenti hanno preceduto l'inasprimento e saranno anche le prime ad allentare. Ma siamo convinti che i tassi di interesse negli USA finiranno il prossimo anno molto più bassi di quanto i mercati si aspettano oggi, consentendo alla ripresa economica di prendere piede.
 
 
 

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