Dopo che le forze armate USA hanno ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani all’inizio di gennaio e Teheran ha risposto lanciando razzi contro le basi aeree statunitensi, ai trader è stato chiesto di scegliere a quale cifra i prezzi del greggio potessero salire. Ora, viene loro chiesto di scegliere a quale cifra potrebbero scendere, con la crisi del coronavirus che si protrae.
I prezzi del greggio hanno mostrato pochi segni di vita questo lunedì, nonostante i due giorni di vertice tecnico annunciati dall’OPEC e dagli alleati per cercare di trovare un modo per impedire una caduta libera. Pochi analisti prospettano una ripresa significativa in termini immediati per il Brent ed il WTI, entrambi crollati a doppia cifra a gennaio segnando le perdite mensili peggiori in tre trimestri circa.
Un “cigno nero” come non ce ne sono mai stati?
“Ancor prima della diffusione del coronavirus, l’attività industriale globale si stava stabilizzando ad un ritmo lento”, scrive Moody’s Analytics in una nota dal titolo “Il coronavirus potrebbe essere un cigno nero come non ce ne sono mai stati prima”. Aggiunge:
“Se dovesse succedere l’inimmaginabile e scoppiasse una vera e propria epidemia globale, il ribasso per i prezzi delle materie prime industriali sarà considerevole”.
Secondo Moody’s, semplicemente portare le medie mensili del greggio ai minimi della recessione dei profitti 2015-2016 farebbe “affondare il prezzo del WTI del 43% dalle recenti letture”.
Un grafico pubblicato mostra un caso estremo di meno di 40 dollari al barile se dovesse avverarsi tale possibilità. Negli scambi asiatici di questo lunedì pomeriggio, al WTI mancava meno di un dollaro per infrangere il supporto chiave di 50 dollari.
I mercati azionari e delle materie prime in Cina sono crollati in apertura questo lunedì, nel primo giorno di scambi dopo le prolungate vacanze del Capodanno Lunare, con il coronavirus scoppiato nella città di Wuhan che ha ucciso più di 360 persone e ne ha infettato più di 17.000 in un mese.
L’iniezione di capitale in Cina non è di grande aiuto
Il tonfo è avvenuto nonostante la rassicurazione della banca centrale cinese di iniettare 1,2 mila miliardi di yuan (174 miliardi di dollari) di liquidità sui mercati, per incoraggiare il sentimento.
Goldman Sachs, in una nota pubblicata ieri, ha affermato che, dai vertici tenuti con gli investitori generalisti sulla Costa Occidentale la scorsa settimana, “emerge esserci poco interesse nel posizionarsi più positivamente per un macro-miglioramento nel 2021-22”.
Situazione deprimente a parte, il problema della crisi del coronavirus sembra essere la difficoltà di tutti per quantificare accuratamente cosa potrebbe succedere nei giorni, nelle settimane o addirittura nei mesi che verranno. Finora, le migliori banche ed agenzie di ricerche di Wall Street sono riuscite solo a fare delle ipotesi plausibili.
Sanford C. Bernstein & Co. afferma che il greggio potrebbe scendere a circa 50 dollari al barile senza l’intervento dell’OPEC. Ha abbassato le previsioni sulla domanda di benzina di 50.000 barili al giorno e le stime sui consumi di gasolio di 40.000 barili al giorno.
Morgan Stanley spiega che, se il virus continuerà a peggiorare per 3-4 mesi, si avrà una riduzione di circa 75.000 barili al giorno della crescita della domanda petrolifera cinese 2020. Se l’epidemia dovesse raggiungere il picco in uno o due mesi, la crescita della domanda del primo trimestre scenderebbe a 150.000 barili al giorno da 310.000, aggiunge.
Le cancellazioni di voli potrebbero comportare la perdita di 400.000-700.000 barili al giorno della domanda di carburante per aerei nel primo trimestre, mentre l’indebolimento della domanda di gasolio potrebbe far diminuire l’attività delle raffinerie, dice Morgan Stanley.
S&P Global Platts, nello scenario del peggiore dei casi, afferma che la domanda petrolifera globale scenderà in modo “massiccio e quasi catastrofico” di 2,6 milioni di barili al giorno a febbraio e di 2 milioni a marzo. Per quanto riguarda il carburante per aerei, ciò potrebbe significare un calo di un milione di barili al giorno della domanda il mese prossimo, aggiunge.
Quattro settimane hanno distrutto 18 mesi di lavoro dell’OPEC
In sole quattro settimane, il coronavirus ha distrutto quanto l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio aveva costruito in oltre un anno. L’OPEC ha spinto affinché i suoi membri più ribelli (Iraq, Libia e Nigeria) rispettassero i tagli promessi negli ultimi 18 mesi.
Il cartello è rimasto concentrato sul suo obiettivo, nonostante i tweet di Donald Trump finalizzati ad abbassare i prezzi alti alla colonnina nel 2018, per paura che costassero ai suoi colleghi Repubblicani il voto alle elezioni di metà mandato (i rivali Democratici hanno comunque conquistato la Camera).
Tuttavia, nulla di quello che ha fatto l’OPEC nel corso dell’ultimo anno e mezzo poteva prepararla per l’attuale crisi. Il coronavirus ha praticamente spazzato via ogni grammo di fiducia dal mercato lasciando nient’altro che paura.
Ha scosso dalle fondamenta la piattaforma rialzista che aveva portato il Brent sopra gli 86 dollari nell’ottobre 2018 (il massimo dai 100 dollari al barile del 2013) e di nuovo sopra i 71 dollari quest’anno, dopo la volatilità degli ultimi mesi. Ora, tutto ciò a cui riescono a pensare i trader è quanto in basso possa scendere il mercato, perché il virus non se ne andrà.
Oro ancora destinato ai 1.600 dollari, ma il rally non sarà facile
Quindi, qual è lo scenario per l’oro?
In quanto rifugio preferito da tutti per l’epidemia del virus (oltre ai Buoni del Tesoro USA ed allo yen, ovviamente), l’oro sembra logicamente destinato a costruirsi uno slancio stabile verso un ritorno ai massimi di sette anni sopra 1.600 dollari l’oncia raggiunto a inizio gennaio, dopo l’omicidio di Soleimani.
Tuttavia, negli scambi asiatici di questo lunedì, sia i lingotti che i future del metallo giallo sono scesi, rispecchiando ancora una volta la volatilità delle recenti settimane nonostante l’avversione al rischio sui mercati.
Qualcuno è stato deluso dalla performance dell’oro ultimamente. Tuttavia, gli analisti di Capital Economics affermano che l’asset rifugio non può far altro che salire, fino a quando l’epidemia continuerà a diffondersi:
“Vi è la possibilità che l’oro salga molto di più se il virus di Wuhan non verrà contenuto nelle prossime settimane. In effetti, se le chiusure delle fabbriche dovessero essere estese in tutta la Cina continentale, potrebbero esserci ripercussioni economiche a livello globale, che supporterebbero il prezzo dell’oro”.