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Il rialzo della BCE allunga e peggiora la recessione

Pubblicato 28.07.2023, 06:23
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L’Europa cerca giustamente di darsi una politica e una moneta comuni, ma ha bisogno soprattutto di un’anima (A. Frossard).
 
Prezzi alla produzione YoY di giugno dell’Italia in uscita oggi alle 10:00 (stima – 12,9% contro -4,3% di maggio), inflazione della Germania YoY di luglio alle 11:00 (stima 6,2% contro 6,4% di giugno) e fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan alle 14:30 (stima 72,6 punti contro 64,4 di giugno).
 
Ieri il PIL preliminare USA del 2Q23 è stato decisamente più alto delle previsioni (+2,4% contro +1,8% atteso e +2% del Q23). Anche gli ordini di beni durevoli USA MoM di giugno sono cresciuti decisamente di più rispetto alle stime (4,7% contro 1% atteso e 2% di maggio). In calo le richieste settimanali alla disoccupazione (221k contro 235k atteso).
 
I dati mostrano un’economia che non accenna a rallentare e che sarebbe anche in grado di sopportare ulteriori aumenti dei tassi. Cruciali per decidere le future decisioni della FED saranno i dati di inflazione complessiva e core che saranno rilasciati il 10 agosto prossimo.
 
Ieri è stata la volta della BCE che ha deciso, come era nelle aspettative, di aumentare i tassi di 25 bp. E’ il nono rialzo consecutivo per complessivi 425 bp, che ha portato il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali al 4,25% (il massimo dall'ottobre 2008) e il tasso sui depositi presso la banca centrale al 3,75% (massimo da oltre 22 anni). La BCE, oltre ad impegnarsi a seguire un approccio dipendente dai dati (ma questo lo sapevamo) ha affermato che i tassi rimarranno a livelli sufficientemente restrittivi per tutto il tempo necessario a riportare l'inflazione al suo obiettivo del 2%. Siamo convinti che il tempo necessario indicato dalla BCE possa essere gran parte del 2024.
 
Crediamo che possa essere importante anche quello che la Lagarde non ha detto, ovvero che la BCE non sta pensando a una pausa, come aveva invece fatto nell’ultimo meeting, né ha voluto sottoscrivere l’opinione di alcuni governatori secondo cui il rischio di fare troppo poco è più alto di quello di fare troppo.
 
Sicuramente la stretta monetaria sta cominciando a produrre gli effetti sperati, visto che le condizioni di finanziamento si sono irrigidite e frenano in misura crescente la domanda. Effetto questo che rappresenta un fattore importante per riportare l’inflazione all’obiettivo.
 
Altre sono state inoltre le decisioni di politica monetaria: i titoli in scadenza acquistati con il programma App, non saranno più reinvestiti, senza dare però più indicazioni sul ritmo della riduzione del portafoglio; la remunerazione delle riserve obbligatorie è stata fissata allo zero per cento, riducendo l’ammontare degli interessi da versare alle banche. Decisione che, secondo la Banca centrale, preserverà l’efficacia della politica monetaria, assicurando la completa trasmissione delle decisioni sui tassi ai mercati monetari.
 
Per inasprire ulteriormente la politica monetaria, la BCE dovrebbe accelerare anche la riduzione del suo enorme portafoglio obbligazionario di 5.000 miliardi di euro. La banca centrale ha acquistato questi titoli dal 2015 per ridurre ulteriormente i tassi di interesse e combattere il rischio di deflazione. Come noto, da marzo ha iniziato a ridurre il suo stock, per un ammontare di 15 miliardi di euro al mese. A partire da luglio, ha annunciato che l’ammontare dovrebbe essere pari a 25 miliardi di euro. Siccome a questo ritmo ci vorranno 15 anni per raggiungere l’obiettivo, riteniamo che sia possibile un’accelerazione che comporterà, come dicevamo, un ulteriore inasprimento.
 
Non sembrano esserci per il momento rischi che si concretizza la spirale salari/prezzi, anche se la crescita dei salari sta diventando un fattore sempre più importante di inflazione. La disoccupazione nell’area Euro ha infatti toccato il minimo storico al 6,5% nel maggio scorso, ma continuano a mancare lavoratori soprattutto nel settore dei servizi.
 
La stretta monetaria nell'Eurozona non è sicuramente terminata con luglio ma proseguirà con tutta probabilità anche a settembre. Non esiste un “numero magico” di tasso terminale, anche se diversi economisti convergono su un tasso di remunerazione dei depositi presso la banca centrale al 4% (mancherebbero quindi ancora 25 bp).
 
Quello che ci sentiamo di affermare è che ai livelli attuali e con gli effetti degli aumenti passati che saranno sempre più concreti, l’economia è attesa frenare ulteriormente, facendo registrare tassi di variazione del PIL ancora più negativi di quelli attuali.
 
Per quanto riguarda gli investimenti nelle azioni, siamo convinti che in una situazione di incertezza come quella attuale sia preferibile privilegiare i titoli di quelle società che producono cassa, hanno la ladership nel proprio mercato di riferimento e una redditività mediamente più elevata e sostenibile rispetto ai competitors.
 
Con riferimento alle obbligazioni, ci domandiamo se avvicinandosi la fine degli aumenti dei tassi, valga la pena allungare la duration del portafoglio, oppure sia ancora troppo presto. Diamo subito la risposta e poi l’argomentiamo: è ancora troppo presto.
 
E’ presto perché la Lagarde ha detto piuttosto chiaramente che una volta terminati gli aumenti, i tassi rimarranno elevati a lungo (che tradotto significa probabilmente per gran parte del 2024). Nel momento in cui la curva della Germania (in assenza di titoli Europei) è ancora invertita e quindi i tassi a breve termine sono più elevati di quelli a lungo termine e segnalano ancora recessione, l’allungamento della vita media del portafoglio non consentirebbe infatti di adeguare il rendimento al rischio supportato. Per quanto riguarda il tasso fisso, riteniamo che sia preferibile posizionarsi nelle scadenze comprese tra 6 mesi e 1 anno. Per quanto riguarda invece i bond a tasso variabile (ad esempio i CCT), riteniamo che la scadenza possa anche essere maggiore, visto che i CCT beneficiano dell’indicizzazione (di solito rendimento dei BOT semestrali maggiorato di uno spread).
 
Sarà possibile cominciare ad allungare la duration nel tasso fisso quando le indicazioni prospettiche delle banche centrali saranno un po’ più chiare. Magari rinunciando a qualche decimale di rendimento, ma con un rischio decisamente minore.
 
 
 
 

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