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Il triumvirato USA-sauditi-russi complica le cose per i trader del greggio

Pubblicato 01.05.2019, 08:20
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

Sembra proprio che i sauditi abbiano deciso di prendersi una piccola rivincita con il Presidente USA per i miseri 40 dollari al barile che hanno dovuto sopportare lo scorso inverno.

L’evidente noncuranza del Ministro per l’Energia saudita Khalid al-Falih del tentativo di Donald Trump di mettere all’angolo l’OPEC con un altro aumento della produzione tramite una telefonata ad una fonte misteriosa all’interno del cartello suggerisce che Riad si sta preparando ad una battaglia con la Casa Bianca per il controllo del mercato mondiale del greggio.

Nessun aumento della produzione, altri tagli forse, dicono i sauditi

Falih ha dichiarato che in occasione del vertice di giugno dell’OPEC+, che comprende la Russia, si potrebbe avere una proroga dei tagli alla produzione fino alla fine dell’anno, anziché una conclusione.

È interessante che i suoi commenti, resi all’agenzia stampa di Mosca RIA, siano giunti il giorno dopo che il Presidente russo Vladimir Putin aveva gentilmente ricordato ai sauditi che era stato lui, e non Trump, ad andare in soccorso dei sauditi lo scorso anno, quando l’OPEC annaspava. Ha senso, quindi, che il Ministro per l’Energia saudita tenti di cercare un terreno comune con la controparte russa Alexander Novak per assicurarsi che le scorte siano sufficientemente tese da far sì che il greggio resti un mercato dei venditori.

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È opinione diffusa che l’Arabia Saudita abbia bisogno di un greggio ad 80 dollari al barile per il suo bilancio. Il FMI all’inizio della settimana ha reso noto che il regno ha bisogno che il mercato salga ad almeno 85 dollari. L’esperta del greggio nonché collaboratrice senior di Forbes Ellen R. Wald, autrice tra l’altro di un’analisi settimanale per Investing.com, afferma che nessuna delle due teorie è vera. “Storicamente, l’Arabia Saudita ha tentato di mantenere dei prezzi del greggio ragionevoli anziché dare priorità ai prezzi alti, perché i prezzi alti portano a recessioni globali che pesano sulla domanda di greggio”, ha scritto su Forbes questa settimana.

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I tagli alla produzione sono un aspetto anche politico per la Russia?

La posizione dello stesso Putin è piuttosto criptica: Kirill Dmitriev, a capo del fondo sovrano russo, ed Igor Sechin, presidente del colosso petrolifero Rosneft, lo hanno avvertito negli ultimi mesi che i tagli alla produzione stanno facendo perdere alla loro nazione partecipazione di mercato, a tutto vantaggio del greggio USA.

Questi oligarchi russi stanno apertamente insistendo per una maggiore produzione per alimentare una sana concorrenza sul mercato petrolifero mondiale. Il vice Primo Ministro Anton Siluanov a dicembre ha affermato che il bilancio russo necessita di un greggio a soli 42 dollari al barile.

Quindi, se non è l’economia la risposta alle azioni di Putin, allora probabilmente lo è la politica, in quanto le azioni di Trump stanno danneggiando l’Iran, uno dei principali alleati della Russia.

Il rapporto tra Arabia Saudita ed Iran è un mistero all’interno dell’OPEC

I sauditi, intanto, sembrano stare avendo il meglio del meglio, con i russi che restano dalla loro parte, Trump che involontariamente mantiene il greggio sopra i 70 dollari con le sanzioni ed il loro nemico preferito, l’Iran, alla berlina. Per gli analisti che si occupano dell’OPEC il rapporto tra sauditi ed iraniani deve essere un bel mistero, data la loro apparenza di fratelli legati per il bene comune di una materia prima vitale ma pronti a pugnalarsi alle spalle alla prima occasione.

Per i trader, però, le azioni del triumvirato USA-sauditi-russi stanno offuscando nuovamente le prospettive per il greggio.

Solo una settimana fa, i prezzi del greggio sembravano destinati solo a salire, con il divieto sul greggio iraniano, le sanzioni USA contro il Venezuela e le impreviste interruzioni in Libia ed Angola arrivati tutti insieme a spingere al rialzo un mercato già schizzato del 32% nel primo trimestre.

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Ma negli scambi di ieri, nonostante gli scontri scoppiati lungo le strade di Caracas tra le forze del Presidente venezuelano Nicholas Maduro e del suo rivale Juan Guaido, i prezzi del greggio non sono saliti più di mezzo punto percentuale sulla giornata e del 6% su aprile. Non aiuta neanche il fatto che in Venezuela Maduro sia appoggiato da Putin mentre Guaido abbia il supporto di Trump.

Trump resta una carta pericolosa sul mercato del greggio

Con Trump tornato in prima base con il suo desiderio di avere prezzi della benzina bassi in vista delle elezioni presidenziali del 2020, non c’è modo di sapere quale sarà la sua prossima mossa. Finora è stato l’inquilino della Casa Bianca più creativo per quanto riguarda l’intromettersi sui prezzi del greggio e resta una carta pericolosa per il mercato con le scorte di greggio USA che ricominciano a salire.

Contrariamente a quanto vorrebbero i falchi dell’Iran all’interno del suo governo e del Congresso, secondo voci di corridoio Trump potrebbe ancora sferrare un colpo all’OPEC concedendo alla Cina un’esenzione speciale per le importazioni da Tehran, soprattutto se il cartello non dovesse aumentare la produzione. Data la sua propensione a prendere decisioni su due piedi, è molto probabile che faccia ricorso a qualcosa del genere.

Sebbene la Cina consumi solo circa 500.000 barili al giorno degli 1,1 milioni di barili prodotti dall’Iran, è l’impatto della decisione di Trump che potrebbe importare al sentimento dei mercati e portare giù i prezzi. Ovviamente, sauditi e russi potrebbero tagliare ancora più barili in seguito ad una simile mossa, lasciando i trader ancor più senza direzione, soprattutto se le scorte di greggio USA dovessero continuare ad aumentare.

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