In una sola settimana il prezzo del petrolio è salito di oltre il 20%, e rappresenta purtroppo una preoccupante minaccia per le nostre tasche. La tendenza rialzista fino al 23 febbraio è evidente, ma con lo scoppio del conflitto Russia Ucraina è partito un rally inarrestabile. Nella giornata odierna il picco del prezzo del WTI è stato di 116 dollari al barile, livelli che non si vedevano dal 2011.
Ma quali sono i motivi alla base di questa ascesa improvvisa del prezzo?
Ci sono delle possibili vie di uscita per frenare gli aumenti?
Innanzitutto le sanzioni imposte alla Russia hanno comportato l’interruzione improvvisa degli approvvigionamenti da uno dei più importanti produttori mondiali di greggio. La sospensione infatti ha comportato la perdita di otre 10 milioni di barili al giorno. Tanto per avere un’idea della situazione, basta tenere presente che la Russia rappresenta il 10% della produzione mondiale. C’è da considerare inoltre che il petrolio proveniente dalla Russia era offerto a prezzi molto competitivi.
Sarà quindi opportuno ricercare valide alternative di approvvigionamento, per tamponare l'attuale carenza di offerta; la prima cosa che viene in mente è aumentare la produzione dei paesi OPEC+. A questo proposito proprio ieri è iniziata la riunione dei paesi del cartello, continuata nella giornata odierna. Quello che emerge da questo incontro purtroppo è il solito nulla di fatto, con la conferma del già previsto aumento dei 400 mila barili al giorno; fino ad ora rispettato solo in parte. Unico sostegno all’offerta deriva dagli Stati Uniti, che ieri si sono impegnati a liberare 60 milioni di barili derivanti dalle loro RISERVE STRATEGICHE. Ma evidentemente questa mossa non è stata sufficiente per placare la corsa al rialzo.
In questo contesto, non dovrebbe sorprenderci il raggiungimento del prezzo di 145$ al barile, come accadde nella lontana estate del 2008.
Al disagio dell’elevato prezzo del petrolio, si aggiunge poi l’aumento delle altre materie prime agricole, per le quali l’Ucraina rappresenta uno dei principali esportatori. E quindi al greggio si uniscono prezzi più elevati per grano, mais e soia. Questi aumenti sono la diretta conseguenza delle sanzioni, tra cui la più rilevante riguarda l’esclusione delle banche russe dal sistema dei pagamenti SWIFT. L’aumento dei prezzi nel breve termine è causato dalla mancanza di alternative immediate per l’approvvigionamento.
Torniamo a parlare del petrolio. Ci troviamo nel pieno di un trend fortemente rialzista, sostenuto da un evento esogeno preoccupante, ancora in pieno sviluppo. L’elevata volatilità e lo squilibrato impulso partito la scorsa settimana, sono sostenuti sicuramente da uno shock dal lato offerta. A tutto questo si aggiunge come al solito una forte speculazione e lo spostamento della liquidità da altri asset. Per questo motivo, come sempre accade in queste occasioni, bisogna prestare molta attenzione. Il rischio per chi fa trading in questi momenti, deriva dal fatto che la velocità con cui vengono raggiunti certi livelli, corrisponde ad una altrettanto rapida discesa al verificarsi del primo evento e notizia sfavorevole al rialzo. Un eventuale raffreddamento del conflitto, potrebbe rappresentare il trigger in grado di far scattare l’inversione improvvisa del prezzo che tutti ci auspichiamo.
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