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Le stime della BCE sono ottimistiche. I mercati sottovalutano i rischi

Pubblicato 28.11.2022, 06:30

Settimana densa di dati importanti quella che inizia. Si comincia oggi alle 10:00 con il dato Europeo M3 YoY di ottobre (stima 6,1% contro 6,3% di settembre). Martedì alle 14:00 è in uscita l’inflazione armonizzata UE YoY di novembre della Germania (stima 11,2% contro 11,6% ottobre), mentre alle 16:00 sarà resa nota la fiducia dei consumatori USA MoM di novembre (stima 100 punti contro 102,5 di ottobre). Mercoledì alle 11:00 è il turno dei dati di inflazione Europea YoY di novembre (stima 10,4% contro 10,6% di ottobre) e quella core (stima 5%, invariata) mentre alle 14:15 esce invece il dato sugli occupati USA del settore privato (ADP) di novembre (stima 195k contro 239k di ottobre), alle 14:45 l’indice PMI Chicago di novembre (stima 47 punti contro 45,2 di ottobre). Giovedì alle 15:00 è la volta dell’indice ISM manifatturiero di novembre (stima 50 punti contro 50,2 di ottobre), per finire venerdì alle 13:30 con la variazione USA degli occupati di novembre (stima 200k contro 261 di ottobre) e il tasso di disoccupazione di novembre (stima 3,8% contro 3,7% di ottobre).
 
Tutti dati che, come si nota, sono strategici per definire la politica monetaria delle banche centrali, considerato che le stesse hanno più volte ribadito che queste dipenderanno proprio dai numeri.
 
Venerdì scorso il dato sul PIL del 3Q22 rivisto della Germania, cresciuto dello 0,4%, è risultato superiore alle attese degli analisti che si fermavano allo 0,3%. L’indicatore del clima di fiducia dei consumatori GFK che, come noto, tende ad anticipare la spesa dei consumatori tedeschi, cresce (anche se meno del previsto) di 1,7 punti, passando a -40,2 a dicembre da -41,9 di novembre. Da registrare inoltre un lieve miglioramento delle aspettative relative alle condizioni economiche (-17,9 contro -22,2) e alle aspettative di reddito (-54,3 rispetto a -60,5).
 
Che il 2022 si chiuda con una variazione di PIL positiva per la Germania e l’intera Europa (+3,3% nell’UE) è cosa nota, visto l’effetto di trascinamento della forte variazione positiva del 2021 (+5,5%). Quello che preoccupa è il 2023, dove la Commissione Europea prevede una forte riduzione della crescita del PIL allo 0,3% con un’inflazione del 7% (UE).
 
Non siamo così sicuri che nel 2023 l’inflazione possa fermarsi al 7% che, se pur in riduzione, è comunque un tasso decisamente più alto dell’obiettivo del 2%. E questo per diversi motivi, più volte ricordati: uno di politica monetaria e l’altro di politica fiscale. Il primo riguarda la struttura dell’inflazione, determinata per circa la metà da costi sui quali la BCE ha le armi spuntate. Il secondo, riguarda il disaccordo politico dei governi europei su temi importanti e strategici (leggi price cap del gas) che non aiuta certo la disinflazione. Anzi. Siamo quindi convinti che i tassi di interesse possano rimanere in una situazione di squilibrio più a lungo di quanto i mercati prevedano in questo momento.
 
E più a lungo i tassi di interesse rimangono in disequilibrio per combattere l’inflazione, più aumenta la possibilità che la recessione che ne segue sia lunga e profonda, sperando che non si trasformi in stagflazione.
 
Le prospettive economiche restano caratterizzate da un livello di incertezza molto elevata, perché la guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina prosegue. Da mettere in conto che comunque il potenziale di ulteriori perturbazioni economiche non si è ancora esaurito.
 
La minaccia maggiore deriva dagli sviluppi negativi del mercato del gas (leggi sempre price cap) e dal rischio di carenze delle forniture, in particolare nell'inverno 2023-24 (e non mi sembra che i governi dei paesi UE siano d’accordo sul da farsi).
 
Al di là dei problemi di approvvigionamento di gas che comunque vedremo il prossimo anno, l'UE rimane anche direttamente e indirettamente esposta a ulteriori shock nei mercati delle materie prime dovuti alle tensioni geopolitiche.
 
Rimangono dunque importanti fattori di rischio per i mercati: la perdurante inflazione ma soprattutto gli aggiustamenti disordinati dei mercati finanziari mondiali al nuovo contesto mondiale caratterizzato da tassi di interesse elevati, entrambi amplificati dal forte rischio di incoerenza tra gli obiettivi di politica monetaria e quelli di politica di bilancio.

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