Dall’inizio del 2016 il dollaro australiano, come del resto tutte le altre valute legate alle materie prime, è stato oggetto di pesanti vendite; l’AUD/USD ha ceduto più del 4,5%, scendendo sotto il livello a 0,69 USD sulla scia delle crescenti incertezze per le prospettive di crescita della Cina e, ovviamente, del crollo delle materie prime, che ha fatto scendere il greggio WTI fino a un minimo pari a 28,40 USD al barile.
È importante ricordare che il minerale di ferro consegnato al porto di Qingdao è sceso sotto i 40 USD al barile dopo aver toccato un massimo pari a 44 USD nei primi giorni del 2016.
Ciò nonostante, abbiamo la sensazione che le vendite sull’AUD siano eccessive, dovute al fatto che la paura ha sopraffatto i mercati globali, allontanando gli investitori dai fondamentali. Una fase di stabilizzazione, se non di rimbalzo, si fa sempre più probabile, considerando soprattutto i segnali positivi inviati dall’economia australiana nelle ultime settimane.
Il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al 5,8%, i partecipanti al mercato si aspettavano invece un aumento al 5,9% per il mese di dicembre. Nello stesso mese, l’inflazione misurata da TD Securities è salita al 2,0%, rispetto all’1,8% del mese precedente, perché la debolezza dell’AUD ha permesso di importare inflazione. Rimaniamo tuttavia prudenti sull’AUD/USD, perché l’economia australiana è fortemente esposta nei confronti della Cina (più del 30% delle esportazioni australiane è desinata alla Cina).