L'uccisione di Qassem Soleimani, ordinata la settimana scorsa da Donald Trump, mostra i suoi effetti ancora oggi, con le quotazioni del Gold Future che schizzano alle stelle, rompendo la resistenza del massimo di settembre 2019 a 1560.40 $, a fronte di un rallentamento generalizzato degli indici azionari da almeno una settimana.
Infatti l'attacco dei droni ha riattizzato la fiamma delle tensioni già forti in Medio Oriente, riportando immediatamente l'oro al suo ruolo di bene rifugio, che così si riprende la scena che aveva perso nei mesi scorsi per lo sgonfiarsi dei timori riguardo la guerra commerciale USA-Cina e la Brexit.
A questo punto possiamo fare due ordini di considerazioni:
1. Considerazioni tecniche di breve termine
L'attacco di venerdì scorso è stato un CIGNO NERO che ha disatteso il return move del triangolo rialzista verso i 1485 $, alimentando invece una speculazione sfrenata al rialzo in pochi giorni, +3% da venerdì scorso, del tutto anamola per un mercato lento come quello dell'oro.
Infatti si può vedere come il ROC (indicatore che misura la velocità dei prezzi) sia ormai poco distante dai massimi storici raggiunti a 7,5 %. Inoltre l'RSI a 15 periodi è già in ipercomprato e anche per l'RSI a 30 periodi si appresta ad entrare in quest'area. Queste informazioni ci dicono che verosimilmente i capitali di trading che operano con un orizzonte temporale di due settimane e di un mese stanno alimentando un piccolo movimento speculativo che, forse, non ha ancora finito di esprimersi, ma che tra non molto, probabilmente una settimana, si esaurirà facendo cadere i prezzi sul breve termine, anche se di poco, tra i 1560 $ e i 1555 $. Comunque molto dipende da quanto durerà la bolla mediatica sulle tensioni in Medio Oriente.
Sul medio e lungo termine i prezzi rimangono impostati al rialzo.
Considerazioni di mercato di lungo termine
Questa sorpresa di inizio 2020 ci ha dato un assaggio di quale potrebbe essere il comportamento dell'oro, in un anno che sembra promettere di svolgersi tutto all'insegna dell'incertezza geopolitica ed economica. Infatti permangono tanti fattori critici che sono ancora di attualità ma che sono spariti dalle pagine della cronaca, ossia:
- la guerra-commerciale, che, dopo la firma del 13 gennaio, per un qualsiasi motivo potrebbe tornare ad inasprirsi;
- lo spettro di una recessione negli USA tra il 2020 e il 2021 che già non pochi gestori di fondi incominciano a scontare, spostando capitali verso asset più sicuri e profittevoli;
- la debolezza macroeconomica dell'UE, che è fortemente soggetta agli andamenti dell'economia globale, dato che il 70% del PIL europeo dipende dalle esportazioni;
- il rischio di Hard Brexit, non ancora del tutto scampato. Probabilmente sarà più uno spauracchio che Boris Johnson utilizzerà a fini politici, ora che può permettersi di farlo dopo aver trionfato alle elezioni, ma che potrebbe produrre movimenti di non poco conto sui mercati.
Ma la maggiore fonte di incertezza è il Presidential Year. Statisticamente l'anno presidenziale è sempre stato un periodo di magra per i mercati finanziari, soprattutto per l'azionario, e a maggior ragione lo sarà quest'anno, dato che si prospetta la campagna elettorale più combattuta della storia degli Stati Uniti, con uno schieramento democratico decisamente affollato di candidati, numerose tensioni internazionali, lo spettro di una recessione in arrivo e una procedura di impeachment in corso contro Donald Trump.
Sarà un 2020 decisamente interessante!