L’economia australiana batte le stime. Nel corso del primo trimestre il prodotto interno lordo del Paese ha messo a segno un incremento dell’1,1% rispetto al trimestre precedente, lo 0,3% in più rispetto al risultato degli ultimi tre mesi del 2013 e 20 punti base in più nel confronto con le stime degli analisti. Su base annua l’incremento del Pil si è attestato al 3,5%, contro il +3,2% del consenso.
Già tonico alla luce dell’ottimismo degli operatori e delle recenti indicazioni macro, l’aussie (come è soprannominato il dollaro australiano) si è spinto fino a 92,942 centesimi di dollaro Usa ed è sceso a 1,4642 nell’incrocio con la moneta unica. Nel primo caso, il Credit Agricole da metà gennaio detiene una posizione rialzista con presa di profitto (rivista) a 89,25 e target a 95,3.
Massimi da quasi sei mesi per il cambio con il “cugino” neozelandese (anche detto kiwi), salito a 1,1034, il livello maggiore dall’11 dicembre 2013. “Il cross ha perforato la media mobile a 200 giorni a 1,0985 e sembrerebbe impostato per salire ancora un po’”, ha detto Kit Juckes, n.1 degli strategist valutari di Societe Generale. “Questo rinforza il convincimento che il dollaro neozelandese è maggiormente esposto alle vendite di quello australiano”.
Domenica buone nuove per l’aussie sono arrivate dall’economia cinese, il cui Pmi (indice di fiducia dei direttori degli acquisti) relativo il manifatturiero è salito da 50,4 a 50,8 punti (Pechino è il primo partner commerciale dell’Australia), lunedì dall’indice manifatturiero AIG, cresciuto da 44,8 a 49,2 e ieri dalla bilancia delle partite correnti che ha visto il deficit scendere da 11,7 a 5,7 miliardi.