Gli attimi di pausa, i momenti di riflessione, consentono un vero e proprio stimolo alla crescita interiore, alimentando quelle nobili tensioni che fanno germogliare la parte più vera di ognuno di noi. E’ quello che un pò tutti stiamo vivendo. Non ne sono completamente sicuro, mi piace immaginarla così. In una fase di disorientamento, di smarrimento e, per certi aspetti, senza dover necessariamente citare la società liquida di Zygmunt Bauman, di condizionamenti sociali, frutto di una serie di disvalori diffusi che corrispondono ad un dilagante relativismo. Una sana riflessione. La vera leva per superare un percorso irto di ostacoli, al fine di riprendere la strada giusta, è certamente quella di fermarsi un attimino, accompagnata da un lungo respiro che consente di osservare con più nitidezza gli orizzonti.
Prima di scrivere e concentrare l’attenzione sul rimbalzo del petrolio, sento profondamente l’impulso nell’esprimere la mia sincera solidarietà nei confronti di tutti coloro che in questo momento si trovano in una condizione non facile e per nulla serena. Da 12 anni vivo a stretto contatto, con un gruppo meraviglioso di volontari, medici, infermieri, oss, affiancando e supportando, uomini, donne, famiglie che si trovano in una situazione non facile della loro vita, all’interno del reparto Hospice dell’azienda ospedaliera della mia città.
Ho imparato che non bisogna mai perdersi d’animo e soprattutto, come sosteneva Cicely Saunders, di non preoccuparmi di aggiungere più giorni alla vita ma di dare più vita ai giorni, godendo di ogni attimo ed osservando il senso del tutto con occhi differenti. Sento di dire a gran voce e scrivere questo, in una fase socio-economica storicamente molto particolare, senza trascurare la meravigliosa “comunità” degli operatori di borsa che in queste ultime ore vive anch’essa nella preoccupazione relativa agli accadimenti che minuto dopo minuto leggiamo sui giornali ed ascoltiamo attraverso i tg, non dimenticando la difficoltà di una professione che spesso, se non si è ben formati o, se si trascurano determinati aspetti come quelli legati alla corretta disciplina, oppure alla oculata politica concernente il money management, rischia di lasciare molti di noi nella difficile condizione psicologica della gestione di un margin call.
Fatta questa lunga e sentita premessa, il rimbalzo del petrolio della giornata odierna fa risalire la materia prima, protagonista indiscussa della guerra dei prezzi in atto tra sauditi e russi. Tira un sospiro di sollievo dopo la perdita del 30% all’apertura dei mercati asiatici di inizio settimana.
Le conseguenze, frutto degli inasprimenti tra le parti, in occasione dello storico meeting dell’OPEC a Vienna, non si sono fatte attendere. Il WTI ha letteralmente “solleticato” il minimo toccato a 26,36 dollari al barile, visibile dalla formazione delle candele mensili del 2016, precisamente quelle di gennaio e febbraio. A conti fatti ed a questi prezzi, non avranno vita facile le compagnie statunitensi legate al settore dello shale oil.
Mancata comunità d’intenti per ragioni ben precise, legate sostanzialmente da una parte dalla volontà dei russi a non perdere quote di mercato e dall'altra l'intento dei sauditi nel voler tagliare la produzione in maniera incisiva, in un primo momento fino a fine giugno e poi fino a dicembre. Proposta non accolta. Da questo momento si aprono scenari temuti e per alcuni davvero inaspettati. Guerra dei prezzi. Da Riad fanno sapere della possibilità di estrarre in tutta tranquillità 12 milioni di barili al giorno.
Gli analisti di Bloomberg addirittura immaginano un cedimento del prezzo, durante l’anno in corso, fino a 20 dollari nel caso in cui il rilancio dichiarato da parte degli arabi non sia solo una minaccia legata ad una sorta di guerra mediatica. Gli Stati Uniti iniziano a leccarsi le ferite, nonostante l’obiettivo già proclamato lo scorso anno in più occasioni dall’US Energy Information Administration del raggiungimento ormai alle porte dell’indipendenza energetica, con nell’idea tanto ricercata di soddisfare il proprio fabbisogno interno, senza ricorrere a Paesi terzi. Buona parte dei 13 milioni di barili estratti giornalmente nel territorio a stelle e strisce proviene da una tipologia di estrazione che rischia seriamente di andare in affanno sotto i 40 dollari al barile.
I minimi e massimi crescenti, che hanno caratterizzato la tendenza avviatasi ad ottobre dello scorso anno, così come specificato nel precedente articolo, hanno spinto il petrolio fino alla formazione della candela giornaliera degli inizi di gennaio che ha prolungato la sua ombra fino ai 65,53 dollari, stretta conseguenza dovuta all’attacco subito dagli impianti Saudi Aramco (SE:2222).
La prima fase della discesa dell’oro nero è sostanzialmente iniziata da quel giorno, condizionata da una serie di fattori, ben narrati, raccontati e sviscerati in tutte le salse in questi giorni da innumerevoli e preparatissimi analisti, proiettando il prezzo sul primo supporto in area 50 dollari e poi immediatamente al successivo e storico ben evidente a partire dal 2016 nel mese di novembre. Rotto anche quello. Il resto è ormai cronaca indelebile che sarà ricordata dalla storia.
Bisogna porre la massima attenzione poiché, data la situazione e la grandissima incertezza, non c’è scritto da nessuna parte che, almeno per il momento, un tale Gap Down sia totalmente ricoperto. Il recupero agli attuali 33,61 con un massimo di giornata in area 34,45 dollari al barile potrebbe rappresentare solo una fase di breve.