La Russia avrebbe potuto dire sì alle proposte dell’OPEC ma l’autoconservazione, l’interesse per un guadagno a lungo termine e l’indignazione per le sanzioni del Presidente Donald Trump si sono messe in mezzo. E ora, fino a quando non si risolverà la situazione, il paese dovrà pagare lo scotto della sua decisione, con prezzi del greggio deboli e l’accusa di aver messo i suoi alleati OPEC nella stessa difficile situazione.
A meno che non ci sia un cambio di posizione entro la prossima settimana, il rifiuto della Russia di arrendersi al vertice anticipato ed ai tagli alla produzione richiesti in risposta alla crisi del coronavirus potrebbe significare la fine dei suoi alleati dell’OPEC+, la versione allargata dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio controllata dall’Arabia Saudita.
Dal 2016, russi e sauditi si esibiscono nella “danza del greggio”, in cui ciascuno sincronizza con l’altro dei tagli alla produzione per salvare i prezzi del greggio ogniqualvolta il mercato si ritrova nei guai. Il contagio da coronavirus che si diffonde in tutto il mondo al momento, lasciandosi dietro il caos, anche sul mercato del greggio, con i prezzi di WTI e Brent in discesa, sarebbe proprio l’occasione giusta per riprendere a ballare.
La Russia potrebbe deludere l’OPEC stavolta
Tuttavia, Mosca stavolta ha temporeggiato più a lungo prima di rispondere all’invito al ballo dell’OPEC. E, quando è arrivato il momento di farlo, la Russia ha reso noto che non si presenterà in anticipo al ballo, segnalando che potrebbe anche non fare niente una volta là. L’enormità di tale decisione sta già costando cara al greggio, lasciando gli altri produttori alleati amareggiati ed i sauditi umiliati ma senza altra scelta se non quella di aspettare il riluttante compagno di ballo.
“In una mossa egocentrica, i russi hanno reso il mercato del greggio perfetto per gli orsi”, afferma in una recente intervista ad Investing.com Tariq Zahir, fondatore dell’hedge fund energetico Tyche Capital Advisors.
La mossa “egocentrica” descritta da Zahir si riferisce alla decisione a lungo attesa della Russia di smettere di perdere partecipazione di mercato del greggio per l’OPEC+ ogni volta che accetta un taglio della produzione col cartello, consentendo agli esportatori di scisto USA di arraffarne sempre di più in ogni occasione.
“I russi hanno finalmente deciso che è nel loro migliore interesse partecipare ai tagli dell’OPEC+ solo quando è veramente necessario, e che i guadagni a breve termine dei prezzi del greggio non valgono la perdita a lungo termine della partecipazione di mercato”, spiega Zahir.
“Al contrario del resto dell’OPEC, costituito da compagnie petrolifere nazionali, il settore petrolifero russo è composto anche da produttori indipendenti”, aggiunge Zahir.
“Queste compagnie prosperano su un mercato competitivo proprio come i rivali americani ed odiano i limiti imposti loro dai sauditi tramite questi patti sulla riduzione della produzione, studiati per mantenere a galla i partner arabi dell’OPEC, più che altro”.
L’indecisione russa deriva dalla frustrazione del suo settore nei confronti dell’OPEC
La profonda frustrazione del settore energetico di Mosca nei confronti dell’OPEC, comunicata più volte da Igor Sechin, a capo della potente compagnia petrolifera del paese Rosneft (LON:ROSNq) al suo stretto alleato, il Presidente Vladimir Putin, è finalmente emersa dopo quattro anni.
Putin ha smentito un accordo telefonico stretto con il re saudita Salman per una rapida azione contro il coronavirus. Il suo ministro dell’energia, Alexander Novak, ha lasciato l’OPEC sulle spine per un paio di settimane prima di dire ai media che non aveva senso anticipare il vertice dell’alleanza visto che non manca molto a quello del 5-6 marzo già programmato. Novak ha inoltre indicato che i russi potrebbero non appoggiare un taglio durante il vertice, affermando che si tratta di una situazione “piuttosto incerta” e “in rapida evoluzione”.
Ad aumentare i problemi contribuiscono le sanzioni USA imposte su una divisione di Rosneft la scorsa settimana, per punire la compagnia russa che avrebbe aiutato a vendere il greggio venezuelano. La compagnia petrolifera nazionale di Caracas, la PDVSA, ha intanto dirottato i carichi verso un’altra divisione di Rosneft, spingendo il governo Trump questa mattina a mettere in guardia da azioni più severe.
Le sanzioni di Trump sono un’ulteriore distrazione
“Queste sanzioni su Rosneft non stanno davvero danneggiando i russi ma non fanno che infastidirli ancora di più e rappresentano una distrazione da quanto l’OPEC tenta di ottenere da loro”, spiega John Kilduff, socio fondatore di Again Capital, altro hedge fund energetico di New York.
Tanvir Abid, analista di investimenti indipendente che si occupa della compagnia petrolifera statale saudita Saudi Aramco, riferendosi ad un taglio della produzione senza la collaborazione della Russia, ieri ha affermato che l’OPEC “non può e non lo farà”.
“La prevalente produzione OPEC è già ai minimi storici ed il gruppo ne porta già il fardello”, scrive Abid in un articolo, aggiungendo che l’Arabia Saudita e l’altro suo partner chiave, gli Emirati Arabi Uniti, saranno “molto riluttanti ad implementare ulteriori tagli della produzione unilaterali”.
Il Ministro dell’Energia saudita Abdulaziz bin Salman questa mattina ha smentito le voci secondo cui l’OPEC sarebbe allo sbando, ribadendo che il cartello “non ha finito le idee” e dicendosi fiducioso di poter ottenere un accordo durante l’imminente vertice.
Ma anche se l’OPEC+ dovesse siglare un patto per il taglio di 600.000 barili al giorno con la collaborazione della Russia, il contributo del Cremlino potrebbe essere più “illusorio” che altro, ha scritto nel fine settimana Julian Lee, che si occupa del greggio per Bloomberg, riferendosi alle critiche del passato secondo cui Mosca ha sempre deluso gli obiettivi di produzione fissati dal cartello.
Ma, aspetto ancor più importante da ora ai prossimi 10 giorni prima del vertice, è capire dove potrebbero arrivare i prezzi del greggio entro quella data.
“I livelli critici restano a 53,00 dollari al barile per il greggio Brent e 50,00 dollari al barile per il WTI”, afferma Jeffrey Halley, analista di OANDA.
“Sebbene entrambi i livelli si siano registrati a inizio febbraio, un ritorno a queste aree sembra molto probabile ora e, stavolta, quasi certamente metterà alla prova la tempra dell’OPEC+”.