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Coronavirus, case riposo a rischio bancarotta e famiglie senza aiuti con blocco ingressi

Pubblicato 26.05.2020, 09:03
Aggiornato 26.05.2020, 09:09
© Reuters. Ospiti di una casa di riposo durante l'epidemia di coronavirus a Capralba, vicino Cremona

di Emilio Parodi

MILANO (Reuters) - Prima dimenticate, quando l'emergenza Covid-19 aveva fatto puntare i riflettori su ospedali e terapie intensive. Poi travolte dall'epidemia, dal picco di decessi e dalle indagini della magistratura.

Ora, col blocco delle liste d'attesa e dell'inserimento di nuovi ospiti imposto dalle Regioni, le case di riposo rischiano di aggiungersi alle attività economiche vittime della pandemia.

"A ottobre, se non succede qualcosa perché si possano occupare i posti letto rimasti vuoti o se non arriva un contributo per le spese straordinarie che abbiamo dovuto sostenere, noi portiamo i libri in Tribunale", sintetizza Walter Montini, presidente dell'associazione che raggruppa le 30 Rsa della provincia di Cremona. "E anziché accoglierne di nuovi, dovremo restituire i parenti alle famiglie".

E questo è l'altro aspetto del problema: chi cioè si trova a dover gestire un anziano non più autosufficiente o un disabile grave e ha davanti a sé la porta di queste strutture sanitarie sbarrata.

CENTOMILA IN ATTESA

Si tratta di circa 100.000 persone in Italia in questo momento inserite nelle liste d'attesa bloccate, secondo quanto riferito dalle associazioni di categoria.

"Mia madre ha 88 anni ed è affetta da demenza senile gravissima - dice Diego Lorenzi, 57 anni, di Bergamo - E ora, con questo blocco, non so quanto si andrà avanti ancora".

"Gestire una patologia così per noi è impossibile - aggiunge - io, la mia famiglia e le mie due sorelle non reggiamo più. Ho chiesto a tante Rsa a Bergamo, ma la risposta è uguale dappertutto: no".

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La madre 86enne di Giorgio Ferrami, 53 anni, di Casalbuttano (Cremona) fino a gennaio scorso era autonoma e indipendente. "Ma ha avuto un ictus, ha fatto riabilitazione ed è uscita proprio l'8 marzo, quando c'è stato il lockdown", racconta.

"Io e mio fratello abitiamo a 20 chilometri e così le abbiamo trovato una badante giorno e notte - continua - Poi però è caduta in casa, è stata rocoverata in terapia intensiva e ora è in neurochirurgia. Fra qualche giorno potrà uscire, ma non si alimenta più da sola, è totalmente allettata e ha bisogno di assistenza sanitaria costante".

"Siamo in lista d'attesa, ma se non riaprono le Rsa non so come potremo fare", conclude.

La madre di Marino Giussani, 62enne di Rho (Milano), ha 92 anni, è cardiopatica ischemica ed è immobilizzata. "Il problema è che anch'io sono cardiopatico - racconta Giussani - e ho anche un ascesso polmonare. A marzo per questo sono stato ricoverato in ospedale, ma ho firmato per uscire, perché non me la sentivo di lasciarla sola con la signora che la viene ad assistere".

Anche loro sono in lista di attesa. "Speriamo riaprano presto - conclude - A me non pesa occuparmi di mia madre, ma lei ha bisogno di assistenza medica continua".

CIRCA 185.000 POSTI DI LAVORO, 13 MILIARDI FATTURATO ANNUO

Non c'è un quadro ufficiale nazionale di queste strutture "perché ci sono Rsa e case albergo, ci sono case accoglienza e quelle per disabili, tutte chiamate nei modi più disparati da ognuna delle Regioni, per di più con standard gestionali diversi", spiega Virginio Marchesi, dirigente della maggiore associazione di categoria, Uneba, autore lo scorso anno di una monumentale indagine sui servizi residenziali per gli anziani non autosufficienti.

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Un numero approssimativo, 6.715 istituti in tutta Italia, lo aveva fornito l'associazione di volontariato Auser nel 2011.

Sempre con una certa approssimazione, si tratta di un settore che rappresenta circa 185.000 posti di lavoro, fra operatori sanitari e altri dipendenti, sommando i dati forniti dalle quattro principali associazioni di categoria.

Il comparto, a livello nazionale, ha un fatturato annuo di 13 miliardi di euro, secondo i rappresentati del settore.

TRATTATIVE IN CORSO

Il punto, dicono tutti gli operatori sentiti, è arrivare a un piano che consenta di ripartire in sicurezza.

In questi giorni sono in corso contatti fra i vertici delle diverse associazioni e le Regioni per elaborare protocolli che possano consentire l'arrivo di nuovi ospiti nelle strutture.

LOMBARDIA, PIU' SOLDI PER OSPITI COVID?

Ma c'è un orientamento, ancora non comunicato ufficialmente, contenuto in una lettera inviata lo scorso 23 aprile dalla Direzione Generale Welfare della Regione Lombardia a tutte le Ats lombarde, che sta suscitando qualche preoccupazione fra le Rsa.

Nella comunicazione, letta da Reuters, si chiede alle Ats di valutare la fattibilità di attivare "una o più Rsa esclusivamente dedicate all'accoglienza di anziani Covid-positivi e/o eventuali altre diverse ipotesi organizzative finalizzate ad offrire, agli ospiti che manifestano tale tipologia, la migliore soluzione assistrenziale possibile".

Nelle lettera, dopo aver precisato di ritenere "opportuno sospendere l'inserimento di nuovi ospiti nelle Rsa dalle strutture ospedaliere", la direzione generale scrive che si prevedono "in funzione delle soluzioni prospettate, eventuali possibilità di riconoscimenti aggiuntivi (funzione o una maggiorazione delle tariffe)".

Va ricordato che destò molte polemiche la delibera con cui l'8 marzo la Regione Lombardia chiese alle Rsa di ospitare pazienti Covid per liberare posti negli ospedali al collasso, proprio per il rischio di contagio in strutture abitate da anziani.

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"Se venisse confermato questo orientamento - dice Fabio Artusi, direttore generale di Fondazione Sospiro, di Cremona - ci sarebbe il paradosso che avrebbero nuove entrate solo le poche strutture che hanno accettato la richiesta della Regione, con le conseguenze che si sono viste".

La Regione Lombardia, contattata da Reuters, non ha commentato.

"Le Rsa sono anche disponibili a creare delle strutture Covid, - spiega Franco Massi, presidente nazionale di Uneba (circa 1.000 enti, 60.000 posti letto e 80.000 posti di lavoro)-ma di fronte a questa disponibilità, chiediamo un protocollo per l'ammisisone di nuovi ospiti".

"PROTOCOLLO" PER RIAPRIRE RSA O RISCHIO CRISI SOCIALE

Prima di tutto, tamponi per tutti. E poi una documentazione sanitaria fornita dal medico di famiglia. "Radiografia toracica, ecografia, esami del sangue - elenca Massi - Ma poi bisognerà avere personale dedicato, un numero di dipendenti superiori allo standard, protezioni individuali, cure farmacologiche da prestare. Questo avrà un costo maggiore e dovrà quindi esserci una copertura adeguata".

"Chiediamo che ci diano la possibilità di fare il nostro lavoro - aggiunge Giovanni Scotti, presidente della Fondazione Respiro - Noi abbiamo una funzione sociale, abbiamo famiglie che spingono. Che hanno necessità per i loro disabili. Oltre a quella economica, si rischia di innescare una crisi sociale".

La Rsa Residenza Guerreschi, a Capralba (Cremona), è finita sui media nazionali per esser stata l'unica struttura in regione a non registrare alcun contagio da sospetto Coronavirus, per aver deciso già a inizio febbraio, prima del caso Codogno, di bloccare gli accessi ai parenti e dotare il personale dei dispositivi di protezione.

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Lo stop ai nuovi ingressi ora riguarda però anche questa piccola casa di riposo. "Questa chiusura è stata una mossa veramente deleteria - dice Daniela Dolci, responsabile amministrativo - Il futuro delle Rsa non lo vedo bene. Noi siamo una struttura completamente privata, ci sosteniamo solamente con le rette dei nostri ospiti. E possiamo pagare i nostri dipendenti solo se abbiamo tutti e 40 i posti letto occupati".

TAMPONI E SUPPORTO ECONOMICO DA REGIONI

Mariuccia Rossini, è presidente di Agespi, associazione che raggruppa strutture come Anni Azzurri e Segesta per un totale di circa 20.000 posti di lavoro, sostiene che il problema vero sia essere messi in condizione di "fare un inquadramento serio del paziente".

"Finché non si fanno i due tamponi più il test sierologico non si può fare seriamente - insiste - E' assolutamente necessario. Non procedere come è stato fatto fino adesso con 10-15 tamponi per 150 posti letto".

La presidente, anche dopo le inchieste in corso da parte di molte procure italiane, vuol ricordare le condizioni in cui è stato lasciato il settore. "Per esempio avevamo fatto tutti gli ordini per tempo, e la cosa scandalosa è che a febbraio la merce già pagata, mascherine e le altre protezioni, non ci è stata consegnata perché è stata requisita. Anche adesso abbiamo ancora difficoltà coi camici".

LE PRESSIONI PER ACCOGLIERE I COVID

"E poi abbiamo tutti ricevuto pressioni enormi dalla Regione Lombardia per ospitare i pazienti Covid, non sapevamo più cosa inventarci".

Secondo Rossini per ripartire occorrre un supporto dalle Regioni, "i costi gestionali sono aumentati, con le sanificazioni, la spesa per farmaci molto più elevata, lo spazio occupazione dei letti molto basso, abbiamo cercato di sistemare quasi tutti in camere singole, allestito videoconferenze per il rapporto con le famiglie. Ma dalla Lombardia ancora nessun supporto".

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E ovviamente protocolli per i nuovi ingressi. "Siamo ancora in una fase interlocutoria. Speriamo che si arrivi a un protollo Regione per Regione e a non doverlo discutere per singola Ats".

SERVIZI ALLA PERSONA 27% DEL PIL ITALIA

Se Alberto De Santis, presidente dell'associazione Anaste (circa 35.000 posti di lavoro) dice che con gli associati sta preparando una proposta per il governo, Padre Virgino Bebber, presidente di Aris (253 istituti per 50.000 posti di lavoro)torna sulla necessità di un aiuto da Ats e Asst regionali.

"Stiamo fronteggiando un grosso danno economico - ribadisce - Bisogna togliere il blocco per le Rsa: ma devono essere date regole molto precise sugli accessi".

"E bisogna prepararsi, perché la mia paura è anche cosa potrebbe succedere da ottobre in poi, con una seconda ondata di Covid - ammonisce Padre Bebber - E prepararsi vuol dire anche spendere soldi e le Regioni dovrebbero dare una mano".

Il presidente di Aris chiude però con una precisazione: "Dobbiamo smetterla di dire che la sanità è un costo. Con una gestione corretta e trasparente è una risorsa. Il 27% del Pil nazionale è fatto di servizi alla persona".

- ha collaborato Flavio Lo Scalzo

Sul sito www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia.

(In redazione a Milano Cristina Carlevaro, mailto:emilio.parodi@thomsonreuters.com; +39 02 66129523)

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