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La Cina alza la voce, ma non può sfidare i mercati: ecco perché

Pubblicato 05.07.2021, 10:18
Aggiornato 05.07.2021, 08:20
La Cina alza la voce, ma non può sfidare i mercati: ecco perché

Xi si sente minacciato dalla nuova linea Biden-Ue ma dimentica che la prosperità costruita negli ultimi 20 anni la deve soprattutto a mercati e investitori, alla cui fiducia è appeso il futuro di superpotenza economica

Nel celebrare i 100 anni del Partito Comunista cinese il presidente Xi Jinping, abbigliato per l’occasione alla Mao, ha giustamente rivendicato l’uscita dalla povertà di centinaia di milioni di persone e la costruzione di una società “moderatamente prospera’” Ma ha anche pensato bene di avvertire il resto del mondo di non provare a “bullizzare” il grande paese perché rischia di sbattere la testa contro un muro d’acciaio forgiato da 1,4 miliardi di cinesi. Si è dimenticato però di ringraziare chi ha reso possibile il miracolo, vale a dire il mercato globale. Prima il mercato dei beni di consumo, che con le esportazioni ha gonfiato all’inverosimile l’avanzo di Pechino con il resto del mondo. E Poi i mercati finanziari, che hanno contribuito in modo decisivo all’afflusso di capitali che ha fatto crescere grandi imprese in tutti i campi, a cominciare dalla tecnologia, fino a metterle in grado di sfidare i colossi americani. Prima dell’ingresso nella WTO a dicembre 2001, l’economia cinese valeva poco più di 1.000 miliardi di dollari l’anno, per la precisione 1.211 miliardi nell’anno 2000, per più che decuplicare in meno di 20 anni a quasi 15.000 miliardi e arrivare a fare quasi il 13% del PIL globale.

AMERICA AVVANTAGGIATA DAL BOOM CINESE

Ad avvantaggiarsi della straordinaria crescita cinese sono stati più di tutti gli americani, che hanno aperto un mercato di sbocco enorme e trovato in Cina una sterminata fabbrica low cost per produrre le componenti dei prodotti high tech con cui inondano il mondo. Come Apple (NASDAQ:AAPL), che dà lavoro direttamente a 150.000 persone, ma ne impiega in Cina un altro quarto di milione, soprattutto nella linea produttiva dell’iPhone. E ora si sta passando dall’industria alla finanza, con le grandi case d’investimento del mondo sviluppato, soprattutto anche qui americane, che sbarcano in Cina per offrire prodotti e servizi di gestione del risparmio al popolo sempre più sterminato della nuova classe media. Il grande sconfitto dell’esplosione economica cinese sembra invece, in una prospettiva storica, soprattutto il Giappone, che si è visto rubare il posto di superpotenza economica asiatica, pagandone il prezzo in termini di crescita del PIL. Il grafico qui sotto visualizza bene il parallelismo tra crescita di USA e Cina e l’impatto sul Sol Levante...

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** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge


Ultimi commenti

gli operai degli americani,chissà invece chi saranno i prossimi operai della federazione Russa?gli indiani,gli africani,o i sauditi col loro petrolio ed energie alternative
Questo e’ il risultato di un piano ben congeniato architettato anno e anni fa…
Figurati se la cina capisce.. Nell’ottica cinese esiste unicamente “il partito” e come tutti i comunisti non riescono a riconoscere le fortune.
capitaliste !!
La cina ha capito benissimo!!! E non c'è nulla da ringraziare, dato che i mercati europei o americani mica li hanno scelti per simpatia o rispetto reciproco. Solamente perché conviene la produrre costa poco e quindi é conveniente e quindi più guadagno. Anzi al contrario la cina tiene in pugno già adesso il mondo se non ve ne foste accorti, quindi a chi deve ringraziare?
 La Cina tiene in pugno la fava. Nota che un individuo di nome Trump ha tenuto sotto scacco "la grande Cina" semplicemente impo dazi costantemente. Powell ha fatto il suo e in misura decisamente più terrificante. Se il dollaro ha perso il 20% dal pre-covid pensa a chi ha in mano i titoli di stato USA (Cina) quanto gioisce. Ha buttato via il 20% dell'export del suo popolo.  Non c'è niente da fare. Produrre si può produrre ovunque nel mondo. Esiste un intero sud-est asiatico (Indonesia e filippine in testa), un'altra Asia (India), un'intera africa e altrettanta america latina (Brasile in testa). L'industrializzazione moderna ha toccato a malapena il 20% del territorio globale. Figurati.. Il problema è invece quello di rendersi credibili agli occhi del mondo. Basta vedere gli indici brasiliani e indiani per rendersi conto che la nuova "scommessa" non è già più la Cina ma questi nuovi emergenti. Il principio è semplice : Cerca il meno caro. Oggi non è più la Cina.
dovremmo fare tutti un passo indietro....anche più di uno !!
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