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ANALISI - Imprese in crisi, da ristrutturazioni a target M&A, ora Italia piace

Pubblicato 27.07.2015, 14:30
Aggiornato 27.07.2015, 14:30
© Reuters. An employee prepares FIAMM batteries, in this photo illustration taken at the battery maker's factory in Avezzano, near L'Aquila

di Massimo Gaia

MILANO (Reuters) - L'esempio più recente riguarda la veronese Riello. L'elevato debito, circa 340 milioni, in mano a banche disposte a stralciarne solo una parte; un mercato delle caldaie penalizzato dalla crisi; un imprenditore indisponibile sino a poco tempo fa a cedere la maggioranza, al punto da far deragliare alcune ipotesi di aggregazioni (Aristom Thermo, Ferroli, Bdr Thermea).

Ora, secondo diverse fonti, su Riello, che non conferma, alla fine di un processo competitivo sta prevalendo una conglomerata industriale, il colosso Usa United Technologies, che dovrebbe aggiudicarsi il 70% del capitale in cambio di una valutazione del gruppo attorno a nove volte l'Ebitda, circa 500 milioni, ben al di sopra delle precedenti valutazioni. Un accordo che prevederebbe lo stralcio del 10% circa del debito. A scegliere gli americani, che preferiscono non commentare, secondo una delle fonti, è stato l'imprenditore.

Lo stesso Greg Hayes, Ceo di United Tech, intervistato da Reuters il 21 luglio scorso ha sottolineato che il tema M&A diventerà sempre più rilevante nei prossimi mesi. A livello mondiale, infatti, l'attività di M&A è tornata ai livelli del 2007.

In questo mutato contesto internazionale anche il sistema Italia sta uscendo dal pantano.

Società che negli scorsi anni sono passate attraverso operazioni di restyling del debito che avevano, in sostanza, la funzione per le banche creditrici di rinviare la soluzione in attesa di tempi migliori, ora - complice soprattutto un rinnovato interesse dall'estero - sono diventati target di M&A.

Alla finestra compratori industriali esteri e, nei casi peggiori, fondi hedge e distressed.

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"Oggi non si manda più semplicemente la palla avanti: si guarda a M&A e ricapitalizzazioni" conferma Guido Roberto Vitale, fondatore e presidente di Vitale & Co.

Se ci sono prospettive industriali concrete e un brand, i compratori (soprattutto esteri) si fanno avanti.

Una società in crisi come Pininfarina è da tempo nel mirino dell'indiana Mahindra.

Ma anche l'integrazione fra Tiscali e Aria, società di matrice russa, rientra nella casistica.

Altre operazioni in cantiere riguardano Sirti, che interessa ai cinesi di Zte (e, secondo una fonte, anche ad altri soggetti), e Italtel , altre due aziende da anni alla insistita ricerca della via per uscire dalla crisi.

Tra i gruppi industriali oggetto del desiderio di potenziali compratori circolano ANCHE i nomi di diverse aziende dell'automotive. Oltre a Magneti Marelli, Util Group e Rhiag).

Ci sono poi i comparti legati ai consumi, che, si auspica, possano riprendere vigore. Ed ecco circolare i dossier Conbipel, Limoni-La Gardenia, Stroili Oro (già oggetto mesi fa di un processo, non andato in porto), Pompea, Sergio Rossi, Liu-Jo e Zucchi.

BANCHE FAVORISCONO AGGREGAZIONI

Il tentativo è quello di passare dalle ristrutturazioni puramente finanziarie e bancocentriche, basate sull'attuale legge fallimentare, ad operazioni più articolate e, soprattutto, con un orizzonte di lungo termine.

La chiave di volta è la contingenza in cui si trovano i creditori. "I numeri delle aziende in diversi casi sono migliorati, influenzando i valori di transazione. Ora i processi di vendita avvengono a valori interessanti. E' tornato l'interesse degli esteri per l'Italia, sia per ragioni strategiche, sia per ragioni speculative legate al cambio", sintetizza Andrea Chiappa, che in Deloitte si occupa di M&A & Special Situations. "Le banche sono arrivate alla resa dei conti e sono pronte per la messa sul mercato delle aziende debitrici. L'aspetto negativo è che i processi di M&A sono sempre complessi: le banche devono adeguarsi alla rapidità di azione dei potenziali compratori". E quando al tavolo dei comitati creditori siedono 10-12 istituti assumere decisioni in tempi stretti non è facile.

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Di sicuro, prosegue un banker che preferisce restare anonimo, "c'è la consapevolezza che nei secondi o terzi giri di ristrutturazioni occorranno soluzioni più radicali. Le banche sono più consapevoli e disponibili ad aiutare, visto che hanno fatto gli accantonamenti. Gli imprenditori hanno capito che non si tratta solo di trovare nuova finanza. La soluzione è cambiare la governance e il management, introdurre nuovi azionisti, fare un vero turnaround".

"Le ristrutturazioni", argomenta Andrea Marinoni, partner di Roland Berger, "funzionano solo se accompagnate da finanza per rigirare le aziende, facendo un vero turnaround". Su questo fronte, "le banche hanno un atteggiamento favorevole; ora non è più tabù la conversione in equity del debito".

Sulla stessa linea Orlando Barucci, managing partner di Vitale & Co. "Le ristrutturazioni sono più attive", dice. "Bisogna avere in sella un management che abbia il controllo della gestione e dare almeno 18 mesi di respiro". Tutte condizioni che ovviamente trovano maggiore soddisfazione laddove il turnaround passa per un'operazione di M&A.

Su tutto, però, grava un'ombra. "Il rischio", nota il banker anonimo, "è che il boom di M&A attuale non sia sorretto da fondamentali economici: gli Ebitda delle aziende, a ben vedere, sono sempre gli stessi, sono cresciuti i multipli. Ne consegue un rischio bolla". Insomma, "se il boom di deal di M&A è legato solo alla liquidità immessa dalle banche centrali c'è il rischio che tra qualche anno si torni a parlare di ristrutturazioni".

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