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Unipol e il salvataggio di Fondiaria-Sai

Pubblicato 20.01.2012, 15:33

Il salvataggio di Fondiaria-Sai proposto da Unipol è un ottimo esempio di schema finanziario rivolto ad acquistare una società quotata senza alcun vantaggio per i piccoli investitori. La legge prevede l'obbligo di Opa a cascata quando si acquista la controllante di una società quotata.

Ma l'operazione potrebbe essere ritenuta lecita perché diretta al salvataggio di una società in crisi. Il gruppo di controllo che ha condotto Fonsai sull'orlo del baratro potrebbe così deciderne il destino. Tutto in nome della stabilità. E benché non manchi l'interesse di grandi compagnie straniere.

Il “salvataggio” di Fondiaria-Sai proposto dal gruppo Unipol è solo l’ultimo esempio di schema finanziario rivolto ad acquistare una società quotata lasciando a bocca asciutta i piccoli investitori: una specialità del made in Italy come le auto sportive, la pizza e il debito pubblico.

IL “SALVATAGGIO”

Unipol non compra direttamente Fonsai, ma la sua controllante Premafin, a sua volta posseduta per oltre il 50 per cento dalla famiglia Ligresti, per tacere di un altro 20 per cento in mano a misteriose finanziarie off-shore. Paga cash e concede ai Ligresti un ricco bonus etichettato come patto di non concorrenza (anche se, visti i risultati di Fonsai, l’idea che possano mettersi al timone di un’altra compagnia assicurativa non dovrebbe turbare il sonno di nessuno). Poi ricapitalizza Premafin e sottoscrive pro quota (35 per cento) l’aumento di capitale di Fonsai richiesto dall’Isvap per ripristinare i ratios regolamentari della compagnia e mantenerla in vita, lasciando ai piccoli azionisti la scelta se fornire il resto o accettare una pesante diluizione.

Infine Unipol, Premafin, Fonsai e la sua controllata Milano Assicurazioni si fondono, così da garantire ai proprietari di Unipol un saldo controllo sul nuovo agglomerato e da trasformare le pericolanti passività delle società di Ligresti in debiti della nuova maxi-compagnia, molto meno rischiosi per le banche creditrici.

Non ci vuole molto a individuare vincitori e vinti. Gli attuali proprietari di Fondiaria Sai, che lasciano l’azienda in sala di rianimazione, escono proficuamente di scena passando per la cassa. Le banche allontanano la prospettiva di ulteriori minusvalenze e potrebbero addirittura registrare un profitto legato all’inaspettato recupero di parte dei crediti a rischio. Gli azionisti di Fonsai, già stremati da un recente aumento di capitale presentato come una cura amara ma risolutiva, vedono transitare alto sopra la propria testa lo scettro del comando; senza che un’offerta pubblica di acquisto (Opa) consenta loro di incassare parte del prezzo pagato da Unipol.

QUANDO CADE L'OBBLIGO DI OPA?

Così è la vita. A meno che, beninteso, qualcuna delle numerose autorità di controllo chiamate a pronunciarsi sull’operazione non emetta un altolà, o almeno un colpo di tosse. I presupposti per farlo non mancano. La legge prevede l’obbligo di Opa a cascata quando, anziché comprare direttamente una società quotata (Fonsai), si acquista la sua controllante (Premafin).

C’è un “ma”. Il testo unico della finanza contempla alcune situazioni in cui l’acquirente può essere esonerato dall’Opa. Tra queste rientrano (art. 106) le operazioni dirette al salvataggio di società in crisi; dunque (precisa la Consob) anche gli acquisti “compiuti in presenza di richieste formulate dalle autorità prudenziali nel caso di gravi perdite” al fine di prevenire l’amministrazione straordinaria e la liquidazione coatta amministrativa. La già citata richiesta dell’Isvap a Fonsai potrebbe dunque rappresentare il “grimaldello” per scardinare l’obbligo di Opa se una lettura formale della norma conducesse a ritenere lecita l’operazione. Si tratterebbe tuttavia di un esito paradossale e contrario allo spirito della legge.

Il paradosso sta nel fatto che quello stesso gruppo di controllo che ha condotto Fonsai sull’orlo del baratro verrebbe ora lasciato libero di decidere a piacimento il destino della compagnia. Se si accetta questo principio, non ci si scandalizzi poi se gli azionisti di maggioranza indossano un paracadute d’oro mentre i piccoli investitori ruzzolano nel burrone.

Ma veramente la legge vuole questo? Davvero, dopo una crisi finanziaria devastante, la normativa e le autorità italiane ritengono che chi ha scavato il buco possa anche dissotterrare il tesoro e prendere la porta? Non credo sia così. Basta leggere l’elenco degli altri casi in cui la Consob consente l’esenzione dall’Opa alle società in crisi, e si comprende che esistono regole rivolte a scongiurare un epilogo di questo tipo.

Quali sono questi ulteriori casi? Primo: una procedura concorsuale disposta dal giudice. Secondo: un accordo di ristrutturazione del debito omologato dal Tribunale. Terzo: un’operazione di salvataggio espressamente approvata dalla maggioranza dei soci diversi da quelli di controllo.

In tutte queste situazioni l’equità dell’operazione è certificata da un soggetto esterno super partes o dagli stessi azionisti di minoranza. L’interesse pubblico al salvataggio dell’impresa non prevale in maniera assoluta su quello dei piccoli investitori, che al contrario vengono tutelati dall’autorità giudiziaria o consultati in modo vincolante.

Dobbiamo ritenere che nel caso di un’impresa vigilata (come un’assicurazione) tale bilanciamento di interessi sia irrilevante e che l’obiettivo della continuità aziendale debba sempre e comunque prevalere? Se così fosse, riconosceremmo la possibilità che chi ha malamente gestito una società quotata possa andarsene con un ultimo sberleffo agli azionisti. E ciò proprio in settori, come le banche e le assicurazioni, che sono oggetto di speciale vigilanza perché specialmente delicati e complessi.

Settori per cui (Unicredit docet) è particolarmente importante conservare nel tempo un rapporto di fiducia con i piccoli investitori, non fosse che per poter chiedere capitali al mercato nei momenti di difficoltà. Se poi dal piano dei principi scendiamo a quello dei fatti, pare che l’offerta di Unipol non sia la sola in grado di apportare mezzi freschi a Fonsai.

Si è parlato di manifestazioni di interesse di grandi compagnie straniere come Munich Re e Axa, certamente interessate al business di Fondiaria-Sai (ma forse un po’ meno a iniettare soldi ai piani alti della piramide societaria?). Prima di sacrificare il mercato sull’altare della stabilità, bisognerebbe quanto meno verificare che quest’ultima non possa essere tutelata in altro modo.

Autore: Andrea Resti - LaVoce.info

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