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Stretta governo sulle carceri comprime diritto di protesta

Pubblicato 13.03.2024, 08:15
© Reuters. Un detenuto si appoggia alle sbarre nel carcere di San Vittore a Milano, Italia, 4 marzo 2024. REUTERS/Claudia Greco

di Claudia Cristoferi e Emilio Parodi e Angelo Amante

MILANO (Reuters) - Il 24 febbraio cento detenuti dell'Alta Sicurezza del Carcere di Parma hanno iniziato una protesta pacifica e passiva di quattro settimane, che passa dal rifiuto del vitto e dall'astensione dalle attività lavorative fino al vero e proprio sciopero della fame, per chiedere maggiore accesso a cure e visite mediche e più colloqui telefonici.

Una protesta "legittima" secondo la garante dei detenuti di Parma Veronica Valenti, ma che potrebbe incorrere in una sanzione penale se passasse in Parlamento l'articolo di un disegno di legge che istituisce il reato di rivolta in carcere. Al di là del fatto che le proteste violente erano già sanzionate sotto altre fattispecie di reato, il governo di Giorgia Meloni ha voluto infatti accostare agli "atti di violenza o minaccia" compiuti da almeno tre detenuti la "resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti".

Una sorta di "reato di protesta" che, dicono gli esperti di diritto, non ha paragoni nelle democrazie occidentali e che apre a rischi di incostituzionalità proprio mentre l'Italia registra un picco senza precedenti di suicidi tra i detenuti, che vivono in condizioni di sempre più grave sovraffollamento.

La norma - inserita nel Ddl Sicurezza approvato dal consiglio dei ministri a novembre e rimasta finora piuttosto sottotraccia - è estesa tra l'altro anche ai Cpr e ai centri di accoglienza dei migranti, in una equiparazione tra detenuto e migrante che non manca di sollevare perplessità tra gli addetti ai lavori.

EMERGENZA SUICIDI

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Ci sono oggi in Italia circa 61.000 detenuti, con un aumento costante negli ultimi 6 mesi di oltre 400 detenuti al mese, contro una capienza regolamentare di 51.347 posti.

Cifre "prossime a quelle che nel 2013 hanno condotto la Corte europea per i diritti dell'Uomo a emettere la sentenza 'Torreggiani', con la quale l’Italia è stata condannata per la persistente violazione del divieto di infliggere pene o trattamenti inumani ai detenuti", sottolinea in una nota la giunta dell'Unione delle Camere Penali Italiane.

All'organico della Polizia penitenziaria mancano più di 7.000 agenti rispetto ai 35.717 oggi in servizio, mentre gli educatori sono il 13% in meno di quanto stabilito: 803 funzionari giuridico pedagogici sui 923 previsti in pianta organica. Nel carcere di Parma, ad esempio, dove è in corso la protesta, ci sono solo sette educatori per oltre 700 detenuti.

Ma soprattutto: sono saliti a 21 i suicidi da inizio anno contro i 9 dello stesso periodo del 2023, numeri mai visti prima.

STRETTA SECURITARIA, MA PROBLEMI RESTANO

In questo contesto, la stretta del governo sulle proteste appare poco efficace anche a chi nel carcere lavora, perché non affronta le cause del diffuso malessere.

"Noi siamo sempre di meno, il numero dei detenuti aumenta e lo spazio resta lo stesso. Non ce la facciamo più a contenerli", commenta Donato Capece, segretario generale del sindacato di categoria Sappe. Capece cita le difficoltà di gestire il grande numero di detenuti che non parlano l'italiano, che hanno religioni e culture diverse, che talvolta hanno gravi traumi e problemi psichiatrici o sono tossicodipendenti, a fronte di una carenza cronica di mediatori, educatori, medici, psichiatri.

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"Ora, sul fatto di classificare come reato una protesta civile, un'azione di resistenza passiva, io avrei i miei dubbi perché comunque si può intervenire diversamente", aggiunge.

Simile il racconto di un agente del carcere di Milano di San Vittore, che preferisce restare anonimo. "Prima gestivamo persone, ora gestiamo numeri", osserva. Sono oltre 1000 gli uomini detenuti nell'istituto, quasi tutti in attesa di giudizio, a fronte di un numero ottimale di 800 persone.

"Quando un detenuto partecipa a una rivolta, non gli interessa nulla del reato, se rischia 2 o 20 anni in più. Ha talmente tanta euforia, rabbia, frustrazione che non pensa razionalmente. C'è chi partecipa senza neanche sapere perché, solo per sentirsi protagonista, per contare qualcosa", spiega ricordando la rivolta (non pacifica) che coinvolse numerosi istituti italiani nel 2020 contro le restrizioni per il Covid.

Il sottosegretario al ministero della Giustizia Andrea Delmastro, che ha delega al corpo di polizia penitenziaria, non ha risposto alla richiesta di commento sulla criminalizzazione della resistenza passiva in carcere. Ha però voluto sottolineare: "Ritengo che le persone private della loro libertà, perché evidentemente qualcosa hanno già sbagliato nella loro vita, che tentino di dar vita a nuove rivolte all'interno degli istituti con violenza sulle cose e sulle persone debbano essere punite."

"Si agisce in senso repressivo e non sulle cause. Gli strumenti per punire una rivolta ci sono già, delineati in numerosi altri reati già esistenti, quindi non serve. Ha chiaramente un significato simbolico", commenta Angela Della Bella, professoressa di diritto penale dell'Università Statale di Milano, che - con gli studenti e i collaboratori della Clinica legale di giustizia penale - gestisce uno sportello di informazione giuridica per i detenuti a San Vittore. 

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Secondo il presidente dell'Associazione Antigone Patrizio Gonnella gli atti di autolesionismo sono aumentati del 20-30% rispetto a tre-quattro anni fa. "In carcere si sta male (...) e in questo clima di grandissima tensione piuttosto che intervenire per cercare di migliorare la qualità della vita, anche quelle degli agenti, ci costruiamo un altro nemico: il detenuto che disobbedisce".

UNICUM IN OCCIDENTE, RISCHI DI INCOSTITUZIONALITA'

L'estensione della resistenza passiva agli ordini a una tipologia di reato è secondo Della Bella 'un unicum' tra le legislazioni delle democrazie occidentali. Anche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dove esiste un simile reato di rivolta ("ammutinamento"), sono incluse solo condotte gravi, violente.

"Il disegno di legge è molto vago, spero che sarà rivisto dal Parlamento, ma così com'è potrebbe estendersi ai tipici gesti non violenti come lo sciopero della fame o fare rumore contro le sbarre: vedo macroscopici profili di illegittimità costituzionale", dice Della Bella che sottolinea anche come nella legge manchi la specifica che gli ordini devono sempre essere legittimamente impartiti.

Secondo la garante di Parma è difficile che forme passive come il rifiuto del cibo possano rientrare nel reato disegnato dal governo, ma ammette che la sua vaghezza dà adito a infinite interpretazioni. "Finora la mancata esecuzione agli ordini comportava al massimo sanzioni disciplinari, portarla sul terreno del penale significa anche appensantire ulteriormente il già sovraccarico sistema giudiziario", osserva la collaboratrice del dipartimento Scienze Giuridiche Beccaria della Statale di Milano Cecilia Pasini.

Anche Francesco Maisto, garante dei diritti dei detenuti di Milano, auspica una revisione in Parlamento perché "le formulazioni che trovo nel disegno di legge possono facilmente sconfinare nella diminuzione o nell'eliminazione di un diritto che è stato riconosciuto nel 2005 dalla Corte di Giustizia europea e che si chiama diritto di protesta".

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L'ex magistrato esprime quindi sia dubbi di legittimità convenzionale (rispetto alla Convenzione europea), sia di legittimità costituzionale. Il disegno di legge così come formulato "svilisce completamente la dignità delle persone ristrette, mentre l'ordinamento penitenziario è finalizzato a responsabilizzarle, quindi a riconoscere non soltanto doveri ma anche diritti".

(editing Stefano Bernabei)

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