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4 nuovi rischi potrebbero influenzare le dinamiche del mercato del greggio

Pubblicato 23.01.2020, 16:20

La versione originale di questo articolo, in inglese, è stata pubblicata il giorno 23.01.2020

Ora che i prezzi del greggio si sono completamente ripresi dalla minaccia di un’escalation delle aggressioni tra USA ed Iran, ecco quattro importanti problemi che influenzeranno i prezzi e le dinamiche di mercato sul breve e sul lungo termine:

1. Il Brasile potrebbe unirsi all’OPEC nel 2021

Il Ministro dell’Energia brasiliano, Bento Albuquerque, ha annunciato che la nazione sta seriamente prendendo in considerazione l’idea di unirsi all’OPEC nel 2021 e che comincerà i dialoghi durante la sua imminente visita in Arabia Saudita a luglio.

A quanto pare, i produttori petroliferi brasiliani avrebbero espresso preoccupazione per la partecipazione all’OPEC nel 2020 perché la decisione implicherebbe un taglio della produzione per rispettare la politica dell’OPEC+. Il Brasile sembra ottimista circa il fatto che i tagli alla produzione termineranno entro il 2021, anche se OPEC e Russia stanno lavorando attivamente per estendere i tagli (che dovrebbero scadere a marzo) fino al giugno 2020 e forse anche fino al dicembre 2020.

Nel novembre 2019 la produzione petrolifera brasiliana ha toccato il massimo storico di 3 milioni di barili al giorno, un livello che renderebbe la nazione il quarto principale produttore dell’OPEC dopo Arabia Saudita, Iraq ed EAU. Sebbene la produzione petrolifera del paese sia dominata dalla compagnia nazionale, Petrobras, ci sono anche una serie di compagnie brasiliane indipendenti e Compagnie Petrolifere Internazionali (IOC) estere che renderebbero difficile l’unirsi all’OPEC.

Questo ostacolo deriva dal fatto che più di un milione di barili al giorno della produzione petrolifera della nazione non viene controllata da Petrobras, ma è divisa tra almeno 25 compagnie, molte delle quali hanno concessioni petrolifere insieme ad IOC come Equinor, BP, Shell e Chevron.

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Oltre a questo problema, il Brasile spera di attirare più compagnie estere per sviluppare le sue risorse offshore. La sua ultima asta per le concessioni offshore è stata considerata un flop, con molte compagnie che l’hanno evitata del tutto, quindi la possibilità che la produzione futura possa essere soggetta alle quote dell’OPEC ed ai tagli alla produzione sarebbe un altro motivo per tenere lontane le compagnie estere dall’investimento nelle risorse petrolifere brasiliane.

Il Presidente ed il Ministro dell’Energia del Brasile potrebbero decidere di unirsi al cartello del greggio e l’OPEC sicuramente beneficerebbe dell’arrivo del paese. Tuttavia, le potenziali insidie per la produzione petrolifera futura del Brasile probabilmente faranno passare in secondo piano ogni beneficio.

2. Arabia Saudita e Kuwait riprenderanno la produzione petrolifera congiunta

Arabia Saudita e Kuwait condividono la produzione petrolifera lungo una striscia di terra e mare tra i due paesi chiamata Zona Neutrale.

La produzione in quest’area è ferma dal 2015, per le dispute tra le nazioni. A dicembre, Arabia Saudita e Kuwait hanno finalmente siglato un memorandum d’intesa per risolvere questi scontri e riprendere la produzione. L’Assemblea del Kuwait ieri ha votato per ratificare l’accordo con l’Arabia Saudita, eliminando un ulteriore ostacolo.

La produzione nella Zona Neutrale potrebbe riprendere già nel marzo 2020. I giacimenti di greggio nella regione potrebbero aggiungere fino a 500.000 barili al giorno sul mercato globale.

Tuttavia, anche se la Zona Neutrale dovesse cominciare a produrre tra qualche mese, non bisognerebbe aspettarsi una produzione a pieno ritmo tanto presto. Secondo Chevron, che co-gestisce il giacimento onshore di Wafra nella Zona Neutrale con la Kuwait Gulf Oil Co., una produzione a pieno ritmo da questo giacimento non si avrà prima di almeno un anno.

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3. Coronavirus: minaccia per la domanda petrolifera?

Il coronavirus, una malattia respiratoria altamente contagiosa che ha già infettato centinaia di persone in Cina, viene paragonato alla diffusione della SARS nel 2003. Tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003, il PIL cinese era sceso tra lo 0,5% ed il 2,0% per via dell’epidemia di SARS.

L’epidemia aveva rallentato i viaggi aerei e fatto crollare la domanda di carburante per aerei al punto che l’intera domanda petrolifera cinese ne venne colpita. Molti analisti usano l’epidemia di SARS come metro di paragone per prevedere l’impatto del coronavirus sulla domanda petrolifera cinese. In previsione di un minore utilizzo di carburante in Cina, sia il Brent che il WTI sono crollati di oltre il 2% ieri.

WTI Crude Futures Monthly Chart

In effetti, secondo le ultime notizie le autorità cinesi hanno sospeso tutti i trasporti tramite autobus e metropolitana nella città di Wuhan, considerata il focolaio dell’epidemia. Questa mattina sono stati chiusi anche stazioni ed aeroporti in Cina.

Restano importanti differenze tra la situazione del 2003 e quella attuale che suggeriscono che la domanda petrolifera potrebbe non essere altrettanto colpita dal coronavirus.

Innanzitutto, la SARS era più letale, uccidendo circa il 10% degli infetti. Il coronavirus causa una polmonite, che può essere fatale, ma i media riportano che il virus in sé non sembra essere letale quanto la SARS.

Secondariamente, la Cina ha impiegato una strategia energetica differente negli ultimi cinque anni o più, importando più greggio di quanto ne consumi ed inviandone gran parte in enormi strutture di immagazzinamento. Di conseguenza, un calo della domanda di carburante per aerei e benzina potrebbe non risultare nel dato totale sulla domanda di greggio cinese se il paese continuerà ad importare le stesse quantità incanalando il greggio inutilizzato verso le sue enormi strutture di immagazzinamento.

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Dal punto di vista della Cina, un calo temporaneo dei consumi di carburante da parte della sua popolazione non è un motivo valido per non continuare ad approfittare dei prezzi bassi per accumulare greggio.

4. La Libia fermerà le esportazioni di greggio

Il conflitto tra il generale Khalifa Haftar, a capo dei ribelli dell’esercito nazionale libico, ed il Governo di Accordo Nazionale (GNA) libico riconosciuto dall’ONU sta pesando sulle esportazioni petrolifere del paese.

Il generale Haftar, le cui forze controllano l’accesso alla maggior parte delle infrastrutture di produzione ed esportazione di greggio della nazione, ha ordinato il blocco di tutte le esportazioni per fare pressioni sul GNA, che riceve la maggior parte delle entrate dalla produzione petrolifera del paese. Secondo TankerTrackers.com, la Libia esporta poco più di un milione di barili al giorno, soprattutto in Italia, Spagna e Singapore.

Quando è arrivata la notizia del blocco lunedì sui mercati, il prezzo del Brent è schizzato dell’1,8%, per poi riscendere rapidamente. Finora, la compagnia petrolifera nazionale libica ha continuato a produrre greggio, ma lo conserva in delle cisterne anziché esportarlo. Quando le cisterne saranno piene, la compagnia non avrà altra scelta che ridurre la produzione, forse a soli 72.000 barili al giorno.

I tentativi di mediazione non hanno avuto successo. Dal momento che le azioni di Haftar in teoria non hanno avuto effetto sui prezzi del greggio globale, i leader mondiali sono meno preoccupati ora per il possibile impatto sull’economia globale. La sospensione ordinata da Haftar potrebbe, potenzialmente, fermare circa l’1% della produzione globale, ma i mercati al momento sono più preoccupati dalla prospettiva di un calo della domanda dalla Cina e dalle previsioni globali per il 2020 deludenti rilasciate dal FMI.

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