Mario Draghi è in una specie di ginepraio. Le aspettative che ha alimentato per tassi di interesse più bassi e più acquisti di asset e le rassicurazioni di uno stimolo infinito renderanno difficile al Presidente della Banca centrale europea (BCE) mantenere la promessa durante il vertice di politica monetaria del consiglio direttivo della BCE di questa settimana.
I prezzi dei bond sono già saliti in previsione degli acquisti della banca centrale, spingendo il rendimento dei governativi in territorio negativo. Le banche hanno espresso la loro contrarietà ai tassi di interesse negativi sui depositi, quindi anche una riduzione dello 0,1% dell’attuale 0,4% incontrerà resistenza. Sempre più paesi stanno pensando a dei tassi di interesse a più livelli per escludere una certa quantità di depositi da un tasso sanzionatorio.
Anche Draghi dovrà considerare per quanto tempo legare le mani del suo successore, Christine Lagarde, se le linee guida dovessero valere fino alla fine del prossimo anno, anche se per allora avrà già lasciato il ruolo da 14 mesi. Inoltre, ci sono più dubbi che mai circa il fatto che queste misure possano spingere la crescita, con i paesi dell’Unione europea sull’orlo della recessione, o che riescano a far salire il tasso di inflazione, che è il motivo principale per cui Draghi vuole intervenire.
Perciò i falchi dei tassi di interesse si stanno lanciando in picchiata sulle pagine finanziarie, avvertendo che la BCE non può usare tutte le frecce al suo arco proprio ora, quando i rischi ribassisti sono in aumento. Il presidente della banca centrale tedesca Jens Weidmann si oppone, ovviamente. Ha regolarmente respinto le misure di accomodamento, che si trattasse di normali tagli dei tassi di interesse o di acquisti di asset straordinari.
Non correva buon sangue tra lui e Draghi e a maggior ragione ora che Weidmann è stato scavalcato nella corsa alla presidenza della BCE a favore della scelta francese, più accomodante. Il mese scorso si è espresso contro l’allentamento monetario e soprattutto contro gli acquisti di bond.
Nel frattempo, i capi delle banche centrali di Austria, Estonia e Paesi Bassi si sono uniti ai cori dell’opposizione. Il governatore della banca centrale francese François Villeroy de Galhau, noto falco, si chiede se sia appropriato che gli acquisti di bond ricomincino proprio ora con i rendimenti così bassi. Sabine Lautenschläger, membro del consiglio esecutivo della BCE, insiste per un approccio più graduale, anziché per un bazooka.
Ciascuno di questi policymaker ha al massimo solo un voto nel consiglio direttivo, che comprende ora 25 membri. Villeroy de Galhau, ad esempio, non voterà stavolta, in base al complicato sistema di rotazione della BCE. Ciononostante, i No cominciano ad accumularsi e potrebbero convincere Draghi a ridimensionare lo stimolo in modo da lasciare la banca con una parvenza di consenso.
Il tasso di deposito potrebbe essere ridotto a -0,5 o -0,6%, anziché il -0,8% sperato dalle colombe. Ma la BCE potrebbe chiedere dei tassi a più livelli per attutire il colpo.
È difficile che Draghi rinunci all’intero nuovo programma di acquisti di stimolo, ma potrebbe fissarli a quantità limitate o con una finestra temporale più vaga. Le attuali aspettative sono di acquisti compresi tra 30 e 40 miliardi di euro di debiti governativi al mese.
Potrebbe non procedere con l’aumento del tetto di acquisto da parte dei singoli governi, attualmente al 33%.
Ma perché fare un passo indietro se la paura è che le misure in ogni caso avranno un impatto limitato? A cosa servono delle mezze misure, ora o più in là, se delle misure complete potrebbero non bastare?
Draghi si è dimostrato enormemente deciso e pieno di risorse e sicuramente sarà pronto a mettere a rischio il suo prestigio personale. Viene fiancheggiato dalla Federal Reserve, con la banca centrale USA che si muove inesorabilmente verso un taglio dei tassi di interesse la prossima settimana.
Potrebbe non andarsene col botto come ci si aspettava inizialmente, ma non lo farà neanche frignando.