Le azioni australiane hanno concluso il loro spettacolare bull market decennale rispetto al benchmark nel 2008. Da allora hanno fatto peggio della media globale del mercato azionario di circa il 25% negli ultimi quattro anni.
La curva dei rendimenti si è invertita ed è rimasta piatta nonostante la discesa dei tassi di interesse a lungo termine e nonostante il taglio dei tassi a breve da parte della RBA.
Uno dei venti contrari che spiegano perché la fortuna dei mercati economici e finanziari australiani ha intrapreso una svolta negativa è la debolezza dei prezzi delle materie prime.
Storicamente, l’Australia è sempre stata un commodity player ma la sua dipendenza dalle esportazioni di materie prime è aumentata in maniera massiccia a partire dall’inizio dello scorso decennio.
La quota delle esportazioni di materie prime è salita da meno del 45% delle esportazioni totali nel1996, a più del 72% nel 2011-12.
Il problema è che, ad oggi, si stima che l’investimento nel settore minerario stia decelerando bruscamente in previsione ai prossimi cinque anni.
Il valore dei progetti di investimento minerari ha avuto un picco a Australian Dollar A$270 miliardi (18% del PIL) nel 2012 ed il governo prevede che probabilmente scenderà a A$30 miliardi (meno del 2% del PIL) entro il 2018.
Questo sbalorditivo declino, se dovesse andare come nelle modalità previste dal governo, rappresenterebbe un enorme freno strutturale per l’Australia.
Inoltre, nonostante il recente calo del dollaro australiano, il suo tasso di cambio reale effettivo si aggira intorno ai suoi massimi multi decennali, mettendo un’enorme pressione sul commercio australiano non minerario insieme all’economia globale.
Il mercato azionario australiano continuerà a rallentare fino a quando il dollaro australiano si indebolirà.
Storicamente, gli aggiustamenti del dollaro australiano hanno rappresentato un fattore chiave nel far fronte agli shock degli scambi e nel difendersi da entrambe le pressioni inflazionistiche o deflazionistiche, ma, dalla fine del 2011, i prezzi delle materie prime hanno cominciato a indebolirsi, e l’AUD ha svolto in maniera più soft il ruolo di ammortizzatore.
Sebbene entrambi, i prezzi dei metalli e la crescita reale del PIL cinese, avrebbero dovuto condurre ad un dollaro australiano molto più debole, l’AUD è rimasto forte rispetto a quello che i rapporti di interscambio commerciale suggerirebbero.
Uno dei motivi principali per l’AUD insolitamente forte è lo spread elevato tra il tasso di interesse dell’Australia e il resto del mondo.
Così, durante la crisi del debito europeo, l’Australia ha attirato grandi afflussi di capitale, in cerca di beni di rifugio.
L’Australia è considerata un’economia fiscalmente conservatrice, con un rapporto debito pubblico – PIL tra i più bassi del mondo sviluppato.