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Greggio vulnerabile dopo il minimo sotto i 20 dollari; oro legato a Wall Street

Pubblicato 30.03.2020, 15:42

Non preoccupatevi che i prezzi del greggio possano scendere sotto i 20 dollari. L’hanno già fatto, tra la chiusura di venerdì e l’apertura di questo lunedì, in quel buco nero chiamato trading elettronico.

Al momento della scrittura, il greggio West Texas Intermediate USA è tornato sopra i 20 dollari al barile negli scambi di mezzogiorno a Singapore, dopo aver registrato il minimo di 19,92 dollari, bottom dal febbraio 2002. Potrebbe, ovviamente tornare sotto i 20 dollari prima o durante gli scambi di New York.

WTI Futures Weekly Price Chart

Grafico prezzi settimanali dei future WTI

Ma qualunque cosa succeda nella seduta di oggi o in settimana, il WTI difficilmente registrerà un minimo inferiore a questo bottom di 18 anni. Se dovesse superare il minimo del febbraio 2002 di 19,09 dollari, i minimi successivi saranno 17,85 dollari dal gennaio 2002, 17,80 dollari dal dicembre 2001 e 16,70 dollari dal novembre 2001.

Tuttavia, non si tratta tanto di capire quanto ancora possa scendere il greggio da qui. Si tratta di capire se possa essere fatto qualcosa per fermare l’annichilazione sistematica dei trivellatori di scisto USA, la maggior parte dei quali può sopravvivere appena a meno di 35 dollari al barile.

E la soluzione di certo non si troverà questa settimana. Ma è un argomento che dobbiamo continuare a seguire, perché sarà il fattore più importante per il greggio una volta fermatosi il trambusto scatenato dalla pandemia di COVID-19.

Sventura all’orizzonte per lo scisto USA

La morale è: non importano i tagli delle spese in conto capitale, delle esplorazioni o della produzione (né l’intervento del governo Trump), l’industria del greggio statunitense difficilmente tornerà ad essere quella di prima, con circa il 30% o più di trivellatori locali che finiranno a gambe all’aria.

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Sauditi e russi, già in modalità di massima produzione, andandosi ad aggiungere alla distruzione della domanda per la crisi del coronavirus, intendono nei prossimi sei mesi ottenere tutta quella partecipazione di mercato globale del greggio che ancora non possiedono.

Un modo per raggiungere questo scopo è decimare i trivellatori USA, che hanno ottenuto 4 milioni di barili al giorno di volume di greggio negli ultimi tre anni facendo diventare il paese il produttore numero 1 al mondo con 13 milioni di barili al giorno, mentre Riad era impegnata ad applicare diligentemente tagli alla sua produzione in base all’iniziativa dell’OPEC+ e il Cremlino perlopiù imbrogliava.

Il settore petrolifero USA rappresenta ora una componente importante dell’economia nazionale, con 10,9 milioni di posti di lavoro, secondo l’American Petroleum Institute. Ma lo scisto non è fatto per i prezzi bassi e si ritrova ad affrontare bancarotte e grossi tagli dei posti di lavoro per il duplice colpo inflitto dal COVID-19 e da russi e sauditi; la maggior parte delle stime indicano una perdita della domanda di almeno il 10%, o 20 milioni di barili al giorno.

“La differenza tra oggi ed il periodo 2015/16 è che i produttori di scisto e di greggio ad alto costo stavano già affrontando costi nettamente elevati del capitale nello scorso anno per via dei ritorni agli azionisti persistentemente deboli”, scrive in una nota Goldman Sachs.

“In effetti, queste restrizioni del capitale non sono state che esacerbate dai recenti eventi, mentre il capitale del 2015/16 non si è mai prosciugato, rendendo la capitolazione di E&P USA e produttori ME molto più probabile oggi”, aggiunge la banca di Wall Street, riferendosi ai produttori ed esploratori di scisto nonché a quelli dei mercati emergenti.

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I sauditi peggiorano una situazione già orribile

Energy Intelligence, in una nota separata, scrive che la decisione dei sauditi di inondare il mercato dopo il collasso di inizio marzo dell’OPEC+ non ha fatto che peggiorare una situazione già orribile. “Talmente orribile, in effetti, che il governo Trump sta operando un’apertura diplomatica nei confronti dell’Arabia Saudita affinché metta fine alla guerra dei prezzi con la Russia ed offra supporto ai prezzi del greggio crollati, che stanno devastando l’industria dello scisto USA”.

L’agenzia di New York continua: “Dopo 40 anni di batoste OPEC, Washington sta prendendo in considerazione quello che un tempo era impensabile: un’azione coordinata con Arabia Saudita, Russia ed altro produttori, un evento che rispecchia i tempi straordinari che i mercati del greggio stanno vivendo”.

Brent Futures Weekly Price Chart

Grafico prezzi settimanali dei future Brent

Dal cercare di convincere il Texas, il principale stato produttore USA, ad operare tagli dei suoi impianti di trivellazione, al fare da paciere tra sauditi e russi per spingerli a tagliare nuovamente la produzione e puntare ad ottenere un accordo esclusivo USA-Arabia Saudita per gestire il mercato mondiale del greggio, Washington sta andando improvvisamente a tutto gas.

“Ci sono tante, tantissime idee che circolano”, afferma il Segretario per l’Energia USA Dan Brouillette, sottolineando il desiderio del governo di salvare un’industria che ha reso l’America esportatore di greggio netto e quasi indipendente dal punto di vista energetico.

Finora nessuno degli stratagemmi di Washington sembra stare funzionando. I sauditi sono determinati ad aumentare la loro produzione di ben il 30% a marzo per raggiungere il record di 12,3 milioni di barili al giorno entro fine aprile.

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Tutti nel settore del greggio soffrono

E non è solo l’industria USA che sta soffrendo. Il greggio a 20 dollari è doloroso anche per un’economia saudita già sotto pressione, che ha bisogno di 80 dollari al barile. E sta mandando in crisi anche i bilanci di altri produttori petroliferi del Medio Oriente. La Russia, intanto, dovrebbe soffrire per il tonfo della domanda del suo greggio Urals, una composizione di greggio pesante prodotta negli Urali, in Siberia occidentale e nella regione del Volga che è più costoso per produrre benzina rispetto al più leggero Brent, il riferimento globale.

“L’economia globale è un complesso sistema fisico con attriti fisici e l’energia si trova quasi in cima a questa complessità. È impossibile fermare tutta questa domanda senza grandi e persistenti conseguenze per la fornitura”, afferma Goldman.

La banca di Wall Street aggiunge:

“Crediamo che l’attuale crisi del greggio vedrà il settore energetico finalmente raggiungere quella ristrutturazione di cui ha tanto bisogno. Affermiamo da tempo che è l’offerta e la domanda di capitale che importa, non l’offerta e la domanda di barili; fino a quando ci sarà il capitale, le compagnie possono superare i periodi difficili ed i barili tornano sempre”.

Oro e borse si muovono insieme

Oro e titoli azionari dovrebbero muoversi in tandem questa settimana, con Wall Street che probabilmente deciderà la direzione del metallo prezioso, soprattutto se i timori per il peggioramento della situazione del COVID-19 negli USA dovessero scatenare l’avversione al rischio sui mercati. La scorsa settimana gli Stati Uniti hanno superato la Cina per numero di contagiati. Ad oggi, negli USA si contano più di 145.000 casi ed oltre 2.500 vittime.

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I future dell’oro con consegna ad aprile sono schizzati del 9,5% attestandosi a 1.625 dollari l’oncia la scorsa settimana, segnando la settimana migliore in quasi 12 anni. E questo nonostante il mercato abbia perso smalto venerdì, con gli investitori che hanno incassato una parte dei super guadagni del metallo prezioso arrivati sulla scia del piano di stimolo USA da 2 mila miliardi di dollari per il COVID-19.

Gold Futures Weekly Price Chart

Grafico prezzi settimanali dei future dell’oro

Tutti gli occhi saranno puntati sui dati sull’occupazione USA di marzo, attesi per venerdì, con una perdita stimata di almeno 100.000 posti di lavoro. E questo dopo lo sconvolgente dato della scorsa settimana sui sussidi di disoccupazione, che ha raggiunto per la prima volta i 3,3 milioni di unità.

“Se non altro, l’oro sembra vulnerabile ad un maggiore calo sotto 1600,00 dollari l’oncia se i titoli azionari dovessero muoversi come previsto, ed avere una performance inferiore nel corso della settimana”, afferma Jeffrey Haley, analista di OANDA.

E aggiunge:

“Sebbene fondamentalmente l’oro debba essere ancora un buy, persino dopo il rally del dollaro della scorsa settimana, il nervosismo e la chiara preferenza degli investitori globali per il contante implicano che difficilmente l’oro sfiderà i 1.650,00 dollari l’oncia questa settimana”.

Ultimi commenti

sig barani ma perché il greggio anche se sta così basso la benzina non scende mai?
è possibile inserire una lista di societá che operano in attivitá di esploratori di scisto e produzione
grazie per le sue analisi e dritte
Grazie per l'informazione, vediamo che succede questa settimana, cmq io ho aperto un long a 20.70
Grazie sempre per le sue analisi molto puntuali! Cordiali saluti
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