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Delude l’accordo sul petrolio

Pubblicato 16.02.2016, 14:57
Aggiornato 07.03.2022, 11:10

L’accordo saudita-russo sul petrolio manca di spessore

È chiaro che l’unica speranza per contrastare il crollo dei prezzi del petrolio sarebbe uno shock dell’offerta.

Quando si è diffusa la notizia che i ministri del petrolio saudita e russo si sarebbero incontrati per discutere sulla cooperazione fra l’OPEC e gli altri produttori, i tori del petrolio hanno finalmente intravisto la fine dei prezzi bassi.

Si è trattato di un incontro “segreto” ai massimi vertici fra i maggiori produttori di petrolio mondiali e quindi si erano infittite le speculazioni su un accordo imminente per mettere fine all’eccedenza di offerta.

Il segnale, potenzialmente importante, che i produttori erano per lo meno disposti a ridurre la produzione è stato neutralizzato dalla notizia ribassista della prima spedizione di greggio iraniano in Europa da tre anni.

Evidentemente la soglia dei 30 dollari al barile ha messo in difficoltà le finanze delle nazioni che dipendono dalle esportazioni di petrolio.

Tuttavia, la notizia che Russia, Qatar, Arabia Saudita e Venezuela s’impegneranno per congelare la produzione ai livelli di gennaio ha avuto un peso limitato, cui è mancato l’effetto sorpresa di cui c’era invece bisogno.

Il greggio è salito ai massimi da una settimana, il Brent ha raggiunto i 35,55 USD e il greggio WTI i 31,23 USD, entrambi in rialzo di quasi il 20% da venerdì.

Le valute legate alle materie prime hanno trovato una domanda diffusa; nel comparto G10, CAD e AUD hanno messo a segno i guadagni più consistenti. Rimaniamo scettici sul recente accordo e sospettiamo che sarà difficile raggiungere una collaborazione più stretta per ridurre la produzione. In termini di strategia operativa, propendiamo per un fading del recente rally del greggio.

Propensione al rischio

I mercati oggi sono propensi al rischio, perché gli eventi delle ultime 24 ore hanno confermato l’impegno dei regolatori a contrastare l’attuale debolezza.

Il presidente della BCE Mario Draghi ha utilizzato toni molto accomodanti e durante l’audizione di ieri alla Commissione Affari Economici e Monetari del Parlamento Europeo si è detto pronto ad agire.

Draghi ha ribadito che la BCE “verosimilmente rivedrà” la posizione della sua politica monetaria alla riunione del 10 marzo.

Prevediamo un taglio di almeno 10 punti base (e al massimo 25 punti base) del tasso sui depositi e una variazione dei parametri del QE (con una potenziale inclusione del debito acquistato a semi-pubblico).

Crediamo che la BCE non deluderà di nuovo i mercati e ci aspettiamo che l’EUR/USD s’indebolisca rispetto ai livelli attuali.

Tuttavia, i tassi negativi influiranno sulla redditività e stabilità della banca in una fase in cui ci si interroga sul settore bancario europeo.

Altrove, la crescita della massa monetaria cinese ha raggiunto i massimi da 19 mesi e a gennaio in nuovi prestiti in CNY hanno raggiunto i massimi storici.

Le banche cinesi hanno concesso in prestito una cifra strabiliante, pari a 2,52 mila miliardi di yuan, suggerendo un rafforzamento dei prestiti all’economia reale e una politica monetaria molto accomodante.

Questo sviluppo fa diminuire le probabilità di un ulteriore allentamento monetario e consente alla PBoC di concentrarsi sulla stabilità del CNY.

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