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ENI: in attesa della riunione OPEC+ si prende una pausa, sarà il momento giusto?

Pubblicato 02.11.2021, 21:55
Aggiornato 09.07.2023, 12:32
IT40
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ENI
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La multinazionale del cane a sei zampe, fondata nel 1953 da Enrico Mattei, sta vivendo una fase di rinascita, e l’aumento del titolo è dovuto in buona parte al rally del petrolio. Prima di analizzare tecnicamente questo asset, sarà opportuno approfondire alcuni aspetti macro per scoprire cosa c’è dietro alla forte tendenza rialzista dell’oro nero, evidenziando fattori critici, che potrebbero costituire una minaccia sull’attuale sentiment.

Partiamo dall’analisi del petrolio, considerando il periodo pre-pandemico, quando il combustibile fossile era quotato stabilmente sopra i 40 - 50 dollari al barile e il titolo Eni (MI:ENI) dai quasi 30 euro del 2007 si era stabilizzato nella fascia 12 – 18 euro. In questo contesto storico, che possiamo individuare nel decennio 2009 – 2019, il mercato ha iniziato a considerare il petrolio come un asset in via di obsolescenza, in vista delle nuove esigenze, dettate dalle politiche ambientali green, incentrate su fonti energetiche a basso impatto ambientale. I cambiamenti climatici e gli effetti del riscaldamento globale, hanno spinto verso la ricerca di un’alternativa alle fonti tradizionali fossili, spingendo gli Stati ad investire in nuove tecnologie fondate su fonti rinnovabili, inconsapevoli che la transizione deve avvenire con un programma di adeguamento strutturale, graduale e sostenibile.

Lo scenario in cui le automobili e le centrali di produzione di energia elettrica saranno alimentate principalmente da fonti rinnovabili, è ancora molto lontano. L’era del petrolio non è terminata, e questa materia prima mantiene ancora il suo originario ruolo di “asset strategico”, nonostante l'elevato impatto sull’ambiente. La mancanza di gradualità nel passaggio dalle fonti tradizionali alle rinnovabili, è stato l'errore che ha portato all'attuale crisi energetica. In questa occasione, potremmo anche citare un altro importante fronte critico, proveniente dalla Cina. In questo Stato, molti impianti di produzione di energia elettrica sono stati riconvertiti dal carbone, al gas naturale, causando un eccessivo incremento della domanda di gas, con disastrose conseguenze sul prezzo.

La pandemia ha comportato un forte shock alla produzione petrolifera, e, nell’aprile 2020 l’intera filiera produttiva ha dovuto affrontare il suo periodo più buio: restrizioni e crollo della domanda, hanno creato il paradosso del prezzo negativo di -40 dollari. Questo fenomeno è stata la naturale conseguenza degli eccessi di scorte e della insufficienza dei siti di stoccaggio. La crisi ha causato la chiusura di molte società Americane di Shale Oil, che sono fallite o hanno riconvertito il loro business, considerando il settore estrattivo non più remunerativo a quei prezzi. Non solo, anche le prospettive di un mondo ideale “zero emissioni”, hanno reso sempre meno appetibile il settore petrolifero estrattivo, scoraggiando nuove iniziative produttive.

Al di là di tutte queste considerazioni, il petrolio nel giro di 10 – 15 anni è sicuramente destinato a perdere rilevanza strategica tra le fonti energetiche, non ci sono dubbi, ma il problema è che “è stata venduta la pelle dell’orso prima di averlo ucciso” e si è creato uno sbilanciamento nell’offerta. E di questo ne stiamo pagando, e, ne pagheremo il prezzo, in termini di inflazione, considerato che i costi di trasporto si riflettono su tutti i beni e servizi, per non parlare dell’aumento del costo dell’energia elettrica.

Le economie dei paesi più sviluppati, per ora non sono in grado di abbandonare del tutto l’utilizzo di combustibili fossili, e anche se gli attuali cambiamenti climatici richiamerebbero con estrema urgenza il ricorso a fonti alternative, questo cambiamento andrebbe affrontato con gradualità e consapevolezza della necessità del DOPPIO BINARIO, per non creare squilibri sul mercato delle materie prime. Per le energie rinnovabili, tanti sono ancora gli ostacoli da superare, tanto per citarne alcuni, pensate alle difficoltà di trasporto e di accumulazione per l’energia solare ed eolica.

Preso atto di questo scenario, osserviamo come è strutturato l’attuale swing ascendente partito dal minimo di agosto del petrolio wti, che in questi ultimi giorni ha raggiunto il target di 85 dollari (preannunciato peraltro da diverse banche d’affari americane), e che nonostante qualche presa di beneficio potrebbe ancora puntare all’obbiettivo di oltre 90 dollari. L’attuale tendenza rialzista è sostenuta dalla diminuzione progressiva delle scorte, soprattutto nell'importante sito di stoccaggio di Cushing in Oklahoma. Dopo una serie di pubblicazione di scorte bullish, proprio mercoledì scorso abbiamo assistito a scorte ampiamente sopra le attese, e da quel momento il prezzo ha iniziato a consolidare. Le prese di beneficio (assolutamente legittime e fisiologiche) hanno portato il prezzo a testare l’area compresa tra gli 80 e 81 dollari.

PETROLIO GIORNALIERO

L’attuale produzione petrolifera, si attesta a 11,500 milioni di barili giornalieri, ed è previsto un aumento di 400 mila barili da parte dei paesi OPEC+ a partire da giovedì 4 novembre (giorno in cui si riuniranno), per far fronte all' attuale squilibrio tra domanda e offerta. Il supporto strategico da tenere sotto stretto controllo, per evitare il deteriorarsi di questo quadro tecnico costruttivo, è l’area di 80 dollari.

A questo punto una domanda sorge spontanea: quali potrebbero essere le più rilevanti e riconoscibili minacce all’attuale impostazione rialzista? 

- La prima potrebbe consistere nell’improvviso cambiamento di atteggiamento delle banche centrali nell’attuazione delle politiche monetarie di tapering, non più orientate ad un approccio prudenziale e progressivo come quello fino ad ora adottato dalla FED, ma con atteggiamento d’impatto, soprattutto con il rialzo dei tassi, che potrebbero creare shock al delicato equilibrio economico e alla crescita che seppur presente stenta a decollare.
- La seconda e forse più importante minaccia, potrebbe essere rappresentata da un ritorno dei contagi e quindi di nuove restrizioni, con tutte le conseguenze disastrose che purtroppo già conosciamo.
- Infine come ultima possibile problematica, aggiungerei l’inflazione stessa e la volontà di un gruppo di paesi tra cui in primo luogo gli Stati Uniti, che potrebbero creare pressioni sui paesi produttori, affinchè l’offerta venga adeguata, considerando le riaperture e il graduale ritorno alla normalità. Di contro, i Paesi dell’Opec+ hanno tutto l’interesse affinchè la situazione resti invariata. Tale situazione apporta benefici ai bilanci dei paesi produttori, compensando le perdite subite nel corso del 2020.

Fatta questa doverosa premessa, passiamo ora ad analizzare il titolo, per individuare il trend in corso, i livelli e le aree strategiche su cui posizionarsi. Osservando i grafici settimanali dei due asset, è facile riscontrare la stretta correlazione tra i due strumenti. A parte un disallineamento dei minimi, (subito dopo lo scoppio della pandemia) dovuto al legame che unisce il titolo al FTSE MIB, che lo ha trainato insieme agli altri titoli del listino, i due strumenti a partire dal 2 novembre 2020, hanno messo in atto un trend fortemente rialzista.



ENI settimanalePETROLIO settimanale



ll driver di questa tendenza coincide proprio con la fine della fase di sperimentazione dei vaccini, di cui è stata diffusa la notizia esattamente un anno fa, proprio il 2 novembre, quando si iniziarono a pianificare i programmi di vaccinazione della popolazione, e, nel mese di marzo in Italia, si iniziavano a vaccinare i gruppi più esposti al contagio, e i soggetti più a rischio.

In analisi tecnica c’è un postulato che afferma: “I prezzi scontano tutto”, e, in questo caso, è evidente come a partire dalla diffusione della notizia di una possibile “via di uscita dalla pandemia”, i prezzi abbiano iniziato a recuperare il terreno perso senza un minimo di accumulazione, con una ripartenza a V, scontando fin da subito, le successive riaperture e ritorni alla normalità.

A livello tecnico il nostro titolo ha rotto al rialzo la resistenza in area 9,50 – 10 euro, e, dopo un periodo di consolidamento e retest del minimo di quell’accumulazione, è partito un forte impulso rialzista, all’attacco della successiva resistenza statica posta in area 12 – 12,40 euro, tutt’ora in fase di breakout e retest.

Una possibile strategia di entrata in buy su questo titolo, è quella di acquisto sul pullback di questa area che dapprima è stata una resistenza e una volta rotta al rialzo, rappresenterà un supporto valido. Questa operazione avrebbe come obbiettivo il raggiungimento dei massimi del range 12,50 – 15 euro, fascia di prezzo che ha caratterizzato l’andamento del titolo nel corso del periodo 2015 – febbraio 2020.

In definitiva considerando il dividendo e le potenzialità di crescita del titolo, sembrerebbe una buona occasione di acquisto, all'attuale prezo di mercato. Il parametro da tenere sotto stretto controllo, oltre al contesto macro, è l’andamento del prezzo del petrolio, e non a caso in questo articolo ho cercato di mettere in risalto i fattori che potrebbero costituire un ostacolo al proseguimento del trend in corso.

DISCLAIMER: Questo articolo ha il solo ed esclusivo scopo didattico e formativo pertanto non deve essere inteso in alcun modo come consiglio operativo di investimento, né come sollecitazione di pubblico risparmio. Le attività di investimento in borsa e di trading speculativo comportano notevoli rischi economici e chiunque le svolga, lo fa sotto la propria ed esclusiva responsabilità. Pertanto non mi assumo nessuna responsabilità circa eventuali danni diretti o indiretti relativamente a decisioni di investimento prese dal lettore.

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