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FTSE-MIB; allarme rosso, ma...

Pubblicato 01.01.2018, 20:46
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Chi pensava che gli ultimi giorni dell’anno, a livello borsistico, li avremmo trascorsi con serenità si sbagliava (me compreso). Infatti è successo tutt’altro. Non solo l’indice meneghino ha rotto al ribasso il sostegno in area 22000 (il minimo era a 21932), mandando in fumo al 95% l’ipotesi di triangolo di continuazione rialzista, ma nel frattempo è avvenuta una cosa che, se confermata, potrebbe assumere una notevole rilevanza: parliamo del cambio EUR-USD. Vediamo il perché.

L’8 settembre 2017 la valuta europea ha registrato il prezzo di 1.2092 andando a testare la statica pluriennale, dopodiché ha subito un ritracciamento fino a 1.1552 (7 novembre) ma da li è ripartita con buone intenzioni di proseguire il rialzo.

Questa impostazione potrebbe essere, alla lunga, un problema: infatti, se la quotazione andasse oltre fascia 1.20-1.30 potrebbe proseguire fino ai massimi in fascia 1.40-1.60 con tutte i rischi del caso (vedi grafico).

Grafico pluriennale EUR-USD


Ma questo sarebbe plausibile? Potrebbe.

Di conseguenza, dando uno sguardo all’analisi tecnica del nostro MIB, un allarme rosso è più che lecito, nonostante sia necessario fare le seguenti constatazioni.

  • A livello di fondamentali, al momento (quindi se le condizioni non cambiano), credo vari settori abbiano le potenzialità per ulteriori apprezzamenti (banche in primis)
  • Tecnicamente siamo ancora in un’ipotesi di flag rialzista, con il secondo punto d’appoggio in fascia 21700-21500 (quindi saremmo vicini ad un rimbalzo). Da qui dovrebbe partire un rialzo con massima estensione in fascia 22500-22800 dopodiché ci dovrebbe attendere il terzo ed ultimo ribasso fino in fascia 21000-20500

Non scordiamo però che l’altra faccia della medaglia che è per ora tecnicamente breakaway inside gap.

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Tuttavia, se l’euro confermasse, potrebbe esserlo anche a livello macroeconomico, ciò porrebbe le premesse per il rischio che l’indice possa scendere ben più giù dei 20500

Ma torniamo al cambio EUR/USD.

Se i mercati fossero perfetti non c’è ombra di dubbio che alla politica della Fed di innalzamento dei tassi sarebbe dovuta corrispondere una salita del dollaro e conseguente discesa del prezzo delle materie prime. Invece sta succedendo il contrario. Ovvero, i tassi salgono ed il dollaro scende, e di conseguenza le materie prime diventano più care (vedi petrolio e rame ben impostati per ulteriori allunghi e l’oro -bene rifugio- che meriterebbe un discorso a parte, inserendolo fra le criptovalute. (negli ultimi 15 giorni ha avuto un’impennata del +5,60% -attenzione alla rottura di area 1350-), Ma quale potrebbe essere la causa di questa “anomalia” (rialzo tassi-dollaro in discesa)?

I motivi sarebbero sostanzialmente 2 e si chiamano Angela Merkel e Donald Trump.

La cancelliera tedesca, attualmente al suo quarto mandato, nel Maggio scorso si lamentava del fatto che le politiche della Bce non rendevano l’ Euro abbastanza forte mentre il Presidente a stelle e strisce necessiterebbe di un dollaro debole per favorire la sue strategie politico-commerciali.

Quindi tutti d’accordo…apparentemente; perché la realtà potrebbe, alla fine, essere molto diversa.

Infatti, se per Donald Trump la necessità di un dollaro molto debole è comprensibile (in base alla sua politica) ed inoltre sarebbe d’aiuto alle economie dei Paesi emergenti, per la Germania (e soprattutto per l’Italia) un euro troppo forte potrebbe rappresentare una vera e propria difficoltà.

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Ma per i tedeschi un euro più o meno a questi livelli, nonostante sia un paese manifatturiero ed esportatore, potrebbe comunque andar bene per i seguenti motivi:

  • L’appetibilità dei suoi prodotti non solo si mantiene ma il rapporto prezzo-merci vendute si ottimizza. Cosa significa? Detto molto banalmente significa che vista la qualità dei loro prodotti, gli stessi possono sopportare un costo ragionevolmente più elevato. Ed il rapporto prezzo-merci vendute si ottimizza in quanto il “massimo profitto” non si ottiene né vendendo 100 pezzi al prezzo più basso (1 euro) e né vendendo 10 pezzi al prezzo più alto (100 euro x10 = 1K), ma bensì vendendo 40 pezzi ad un prezzo medio ragionevole (50 euro x40 = 2K). Un euro debole, di contro, farebbe perdere una percentuale di margine di guadagno che difficilmente sarebbe compensato dall’aumento dei numeri di pezzi venduti. Quindi un euro debole o molto debole sarebbe controproducente, mentre sarebbe forse necessario alle economie Mediterranee, anche se di difficilissima attuazione.
  • Il debito pubblico della Germania ha un costo di interessi bassissimo (addirittura è stato negativo) poiché la solidità economica tedesca è tale da far accettare interessi quasi nulli agli investitori in Bond governativi. Oggi, sul 10 anni, siamo allo 0.44% mentre l’Italia è medaglia di bronzo al 2.30%, dietro a Portogallo 2.45% e Grecia 4.11%.

Infine, ad ogni modo, bisogna considerare che un Euro troppo forte sarebbe inopportuno anche per i tedeschi, ma viceversa sarebbe meglio per Trump. Quindi?

Un dollaro in fascia 1.40-1.60 (ma già sopra 1.25) metterebbe l’Europa a serio rischio con contrasti, tra Nord Europa e Paesi Mediterranei, che si potrebbero inasprire e con la BCE che potrebbe essere costretta a rivedere le sue strategie in quanto rischierebbe sia di non poter attuare un graduale aumento dei tassi e sia di dover riesaminare il quantitative easing.

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Nel corso del 2017 la voce di Berlino si era fatta sentire “reclamando” un mandato teutonico presso la BCE dopo che quello di Mario Draghi, in carica dal 1 Novembre 2011, terminerà nel 2019.

Dal 1 Giugno 1998 al 31 Ottobre 2003 fu un olandese (Wim Duisenberg) mentre dal 1 Novembre 2003 al 31 ottobre 2011 fu un francese (Jean-Claude Trichet).

E non è un segreto che la Germania sia più favorevole ad una politica monetaria di austerity, che altro; inoltre bisognerebbe comprendere se, oltretutto, gli sforzi fatti dalle nostre banche in merito agli NPL potranno essere ritenuti sufficienti o meno.

In caso contrario eventuali ulteriori e future pressioni al sistema non farebbero che aumentare le tensioni.

Cosi, soprattutto per l’Italia (e non solo), con un debito pubblico che ha superato da tempo e di molto, quello che in economia si definirebbe “il punto di non ritorno”, le cose rischierebbero di mettersi veramente male.

Concludendo. E’ certo che il Dow Jones nel 2017 sia andato oltre le più rosee aspettative come è certo che da qualche anno ci si aspetti il crollo, che però non è mai arrivato.

Sarà il 2018 l’anno “buono”? Non so. Ma non tralasciamo il fatto che se da un lato la Fed ha iniziato la politica dei tassi in crescita, dall’altro il piano approvato dal Congresso sulla riforma fiscale di Donald Trump e il deprezzamento del dollaro potrebbe dare nuova linfa sotto il profilo commerciale-aziendale.

La situazione per il nostro FTSE-MIB e l’Italia invece, qualora i cambiamenti delle “condizioni base” di cui sopra fossero confermate, potrebbe diventare molto difficile.

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Pertanto, in merito al portafoglio “consigliato” provvederei alle seguenti modifiche. Innanzitutto:
1) Qualora il MIB non confermi l’ipotesi della flag (vedi sopra) ma scenda in settimana sotto 21500, liquidare tutte le posizioni in essere “al meglio”, poiché i rischi potrebbero essere elevati e la situazione diventerebbe di difficile lettura. In questi casi, meglio dedicarsi al solo trading di brevissimo (1-5gg) e per strategie Multiday o tipo “cassettista” attendere o il raggiungimento dell’ultima area di sostegno al trend rialzista partito dai minimi di Giugno 2016 posizionata in area 20500 oppure il superamento di area 22850, anche se la conferma long avverrebbe solo sopra area 23150 (23133 max del 7-11-2017).
2) In caso di rimbalzo e possibile conferma flag rialzista (MIB in fascia 22500-22800) sarà da valutare se liquidare comunque tutte le posizioni in essere “al meglio” (ma vedremo come si presenterà il quadro di ogni singola azione)

Settore Bancario: UNICREDIT (MI:CRDI) long dal 23-09-2017 al prezzo di 17.80. Il 29 dicembre, a seguito del secondo affondo seguito a quello del giorno 27, si e’ chiusa posizione in Stop Loss (15.68)
Rimaniamo con UBI (MI:UBI) BANCA (long dal 08-10-2017 al prezzo di 4.12). Stop Loss confermato a 3.60. In caso di ritorno in area 4.00-4.10 e MIB sotto 22800, si valuterà se liquidare comunque posizione, anche se in leggero loss.

Settore Media: MEDIASET (MI:MS) long Multiday dal 14-12-2017 al prezzo di 3.26. Stop Loss confermato a 3.05 ma abbassiamo il target e lo posizioniamo in fascia 3.40-3.50.

Settore Oil & Gas (Servizi): TENARIS (MI:TENR) long Multiday dal 22-11-2017 al prezzo di 12.50. Mantenere ma mettiamo uno Stop Profit a 13.08 (+4.64%) ed abbassiamo il target in fascia 13.80-14.10

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Settore Auto: FIAT FCA (MI:FCHA) long Multiday dal 12-11-2017 al prezzo di 14.80
Mantenere con Stop loss al prezzo di apertura posizione (14.80).

Settore Impiantistica: LEONARDO long Multiday dal 14-11-2017 al prezzo di 10.16. Mantenere con stop loss confermato a 9.50

Settore Sport: AS ROMA (MI:ASR) long Multiday dal 07-12-2017 al prezzo di 0.675 Stop loss confermato a 0.590 ma abbassiamo il target in fascia 0.700-0.750

Portafoglio

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