La prima settimana dell’anno per il greggio potrebbe essere simile a quella del 2021, con un’azione positiva dell’OPEC+ che potrebbe sostenere un mercato non ancora fuori dal pericolo della pandemia.
Un anno fa, i prezzi del petrolio avevano aperto gennaio nell’ottimismo che gli imminenti vaccini contro il COVID-19 avrebbero sconfitto la pandemia in pochi mesi, riportando la domanda energetica ai massimi pre-pandemia. L’OPEC+, che avrebbe dovuto spingere la produzione su quelle aspettative, aveva invece aumentato i tagli, facendo schizzare ancora di più il mercato.
Un anno dopo, numerose varianti, come Delta ed Omicron, stanno facendo durare ancora la pandemia. Ma i prezzi del greggio sono balzati di oltre il 50% rispetto al livello di apertura del 2021.
E l’OPEC dovrebbe ancora una volta supportare il mercato, ma stavolta con un aumento della produzione.
“È surreale che i prezzi salgano nelle aspettative di un aumento della produzione OPEC, anziché di un taglio”, afferma John Kilduff, socio fondatore del fondo energetico Again Capital a New York. “Ma è così che la pandemia ha cambiato i fondamentali di questo mercato”.
L’OPEC+, un’alleanza di 23 nazioni che comprende i 13 membri dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio con a capo l’Arabia Saudita ed altri 10 produttori guidati dalla Russia, si incontrerà domani e probabilmente darà il via libera ad un aumento della produzione da 400.000 barili al giorno per il mese di febbraio.
In una valutazione del mercato pre-riunione pubblicata ieri, la Commissione Tecnica Congiunta dell’OPEC+ ha reso noto che si aspetta che l’impatto di Omicron sia lieve e di breve durata, con il mondo che diventa meglio equipaggiato per gestire la pandemia.
Il re saudita Salman giovedì scorso ha chiesto a tutti i produttori petroliferi di attenersi alle raccomandazioni dell’alleanza ed ai limiti di produzione per garantire la stabilità del mercato.
I prezzi del greggio hanno aperto il 2022 al rialzo sulla scia del previsto intervento dell’OPEC. Il West Texas Intermediate, il riferimento del greggio statunitense, sale di 59 centesimi, o dello 0,8%, a 75,80 dollari al barile alle 23:35 ET (4:35 GMT).
Il WTI ha chiuso a +55% sullo scorso anno, il rally più forte dal 2009.
Il Brent scambiato a Londra, il riferimento globale, va su di 60 centesimi, o dello 0,8%, a 78,38 dollari. Il Brent è rimbalzato dell’11% l’anno scorso, il massimo dal 2016.
Nonostante l’imminente aumento della produzione OPEC+, i guadagni del greggio di questo lunedì sono stati aiutati anche dalla notizia che la Libia, uno dei più importanti trivellatori dell’alleanza, dovrebbe perdere circa 200.000 barili al giorno di produzione la prossima settimana per via di un oleodotto danneggiato.
I tori dell’oro aspettano una replica del 2020
Sul fronte dell’oro, i prezzi del metallo giallo potrebbero restare stabilmente sopra il livello chiave di 1.800 dollari e procedere da lì, con gli investitori che cercano un modo per contrastare l’inflazione. Il contratto più attivo dei future dell’oro USA, quello di febbraio, scende di 2,45 dollari, o dello 0,1%, a 1.826,15 dollari l’oncia sul Comex a New York.
L’oro Comex è crollato del 3,6% l’anno scorso, il primo calo annuo in tre anni ed il peggiore dal 2015.
L’oro è solitamente considerato uno scudo dall’inflazione, ma questa idea si è indebolita l’anno scorso, con i prezzi del metallo prezioso in costante discesa rispetto all’aumento delle pressioni sui prezzi in un’economia statunitense in forte ripresa dalla pandemia di coronavirus. L’oro è spesso sceso l’anno scorso rispetto al dollaro ed ai Treasury, schizzati nelle aspettative di aumenti dei tassi da parte della Federal Reserve per tenere a bada l’inflazione.
La Fed mercoledì pubblicherà i verbali del vertice di dicembre, quando ha stabilito una tempistica accelerata per la fine dello stimolo dell’era della pandemia. La banca centrale ha reso noto che potrebbero esserci ben tre aumenti dei tassi nel 2022 ma tutto dipenderà dal mantenere l’inflazione al 2% all’anno e la disoccupazione idealmente intorno al 4%, livello che definisce come “massima occupazione”.
Il tasso di disoccupazione USA è schizzato al massimo storico del 14,8% nell’aprile 2020 dopo lo scoppio del COVID-19, ma è tornato al 4,2% il mese scorso. Ma l’indice sui prezzi al consumo USA e l’ indice PCE core (l’indicatore sull’inflazione preferito dalla Fed) sono saliti al tasso più veloce in 40 anni a novembre.
La notizia di un aumento dei tassi è quasi sempre cattiva per l’oro. Ma, se il tema dell’inflazione dovesse restare forte per tutto il 2020, allora l’oro potrebbe ancora raggiungere massimi importanti ritracciando i massimi record del 2020 sopra i 2.100 dollari che, guarda caso, erano arrivati a causa dei timori per l’inflazione. È questo che aspettano i tori dei metalli preziosi.
Nota: Barani Krishnan utilizza una varietà di opinioni oltre alla sua per apportare diversità alla sua analisi di ogni mercato. Per neutralità, a volte presenta opinioni e variabili di mercato contrarie. Non ha una posizione su nessuna delle materie prime o asset di cui scrive.