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Inflazione troppo elevata in Europa? Meglio investire nella green economy

Pubblicato 02.03.2023, 06:02
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Ieri, l’inflazione della Germania di febbraio è risultata più elevata delle stime (8,7% contro 8,5% atteso) e ferma rispetto a gennaio, confermando la vischiosità di una crescita dei prezzi ormai infiltratasi in tutti i settori industriali e dei servizi. Nel solo settore dei prodotti alimentari per esempio, l’aumento dei prezzi è stato del 21,8%, mentre quelli dell’energia hanno fatto registrare una variazione del 19,1%, nonostante il terzo pacchetto di aiuti messo in campo dal governo federale.
 
Il presidente della Bundesbank (noto falco) ha detto che gli aumenti dei prezzi al consumo sono destinati a rimanere ostinatamente alti e per la fine dell’anno la media per la Germania potrebbe attestarsi al 6-7% (livello comunque decisamente elevato).
 
Sempre la Bundesbank prevede che nel 2023 il PIL della Germania subirà una contrazione dello 0,5% dopo essere cresciuto dell’1,8% lo scorso anno (il governo tedesco ha una previsione di crescita dello 0,2%).
 
Secondo Nagel, è probabile che il 2023 sia a doppia velocità. Il primo semestre decisamente negativo e ancora in sofferenza, mentre il PIL è atteso riprendersi gradualmente nel secondo semestre, ma non tanto da portate in positivo l’intero anno. Nel 2024, l’inflazione dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) scendere al 4,1%, mentre il PIL dovrebbe tornare a crescere dell’1,7%, dice la Bundesbank.
 
Che significa questo per l’Europa? Guardiamo al PMI Composite in grado di catturare l’opinione dei responsabili degli acquisti riguardo l’andamento del settore manifatturiero e dei servizi. Come noto, un livello superiore a 50 indica una percezione di crescita e viceversa. Dal luglio scorso i valori sono scesi sotto 50 punti come all’inizio del 2021 in piena terza ondata di Coronavirus, ma a gennaio di quest’anno c’è stata una piccola inversione di tendenza con la risalita del PMI a quota 50,3 punti, confermata dai 52,3 punti di febbraio.
 
Se fino a poco tempo fa la salute dell’economia Europea era funzione diretta del prezzo dell’energia, oggi le variabili sono diventate anche altre, come per esempio il settore alimentare e quello dei servizi. L’andamento di tutti e tre i settori non dipende solo dalle decisioni di politica monetaria, ma anche da decisioni politiche, che possono sostenere uno o più settori produttivi e/o decidere di offrire servizi a prezzi politici. Da questo punto di vista non siamo del tutto sicuri che la fissazione del prezzo del gas 180 al Mwh sia la soluzione corretta. Così come non siamo del tutto convinti che la politica fiscale di sostengo ai consumi consenta un veloce ritorno dell’inflazione all’obiettivo del 2%.
 
Corretta appare invece a nostro giudizio la decisione Europea di svincolare il prezzo dell’energia dai paesi al di fuori dell’Unione, investendo risorse importanti (oltre 1.500 miliardi entro il 2050) nella produzione di energia rinnovabile, nella decarbonizzazione e nell’economia circolare. La Commissione Europea ha previsto un meccanismo di transizione basato su tre pilastri: il Just Transition Fund, il flusso di finanziamenti InvestEU e i prestiti della Banca europea per gli investimenti sostenuti dal bilancio dell'UE. L’obiettivo finale della Commissione Europea prevede che entro il 2050 oltre il 90% della produzione di energia proverrà da fondi rinnovabili.

Largo quindi agli investimenti nel lungo periodo nelle società che producono energia da fonti rinnovabili, ma anche a tutte quelle dell’indotto. Così come tutte quelle società attive nella decarbonizzazione e a quelle che, fin dal progetto, ripensano l’intera loro produzione in chiave circolare. 

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