Secondo le previsioni di Confindustria “ECONOMIA ITALIANA ANCORA RESILIENTE A INCERTEZZA E SHOCK?”, il PIL Italiano è atteso fermarsi nel 2023 dopo la dinamica positiva della prima metà del 2022, per effetto della forte frenata tra la fine dell’anno e l’inizio del 2023.
L’inflazione è aumentata rapidamente nel 2022, arrivando al +8,9% annuo a settembre, valori che non si registravano dagli anni Ottanta. L’impennata dei prezzi energetici al consumo (+44,5% annuo) è responsabile di circa metà di tale aumento. Nella media del 2022 l’inflazione si attesterà al +7,5%, per poi ridursi parzialmente il prossimo anno (per l’effetto meccanico di un prezzo del gas ipotizzato fermo nell’orizzonte di previsione) ma su valori ancora doppi rispetto all’obiettivo della Banca Centrale.
Confindustria stima che i costi energetici delle imprese italiane siano mediamente aumentati di 110 miliardi di euro nel 2022, rispetto ai valori pre-pandemia (6% circa del PIL in 3 anni). L’incidenza dei costi energetici sul totale dei costi sale così dal 4,6% al 9,8%, livelli insostenibili ai quali corrisponde, nonostante un rialzo dei prezzi di vendita eterogeneo per settori, una profonda riduzione dei margini delle imprese.
In caso di blocco totale del gas russo, aggiunge Confindustria, si avrebbe una carenza di offerta di gas in Italia pari a circa il 7% della domanda, con impatti rilevanti su attività e valore aggiunto specie nel settore industriale. Le conseguenze potrebbero essere limitate se fossero efficaci le misure predisposte per il contenimento dei consumi. Se il prezzo del gas schizzasse in modo duraturo ai valori del picco toccato in agosto (330 euro/mwh) l’impatto addizionale sul PIL sarebbe di -1,5% nel 2022-23; viceversa, se si riuscisse a imporre un tetto di 100 euro al prezzo del gas, il PIL guadagnerebbe l’1,6% nel biennio.
Diversi sono i fattori in campo, sia positivi che negativi, modificando i quali la stima del PIL potrebbe cambiare in positivo o in negativo. Tra i primi, Confindustria ricorda il proseguimento della forte crescita delle costruzioni (ora tuttavia in rallentamento); il recupero, anche se ancora incompleto e con qualche segnale di frenata, del turismo; la resilienza dell’industria, grazie alla posizione nelle catene globali del valore e anche per gli sforzi compiuti nei 10 anni pre-pandemia in tema di patrimonializzazione; la buona dinamica dei consumi delle famiglie (la variazione acquisita per il 2022, al 2° trimestre, è pari a +3,3%); la progressiva attenuazione degli impatti economici della pandemia; i cospicui interventi della politica di bilancio adottata dal Governo italiano per difendere famiglie e imprese dai rincari dei prezzi energetici; una performance sorprendentemente positiva dell’export italiano di beni nella prima parte del 2022 (nei primi sette mesi +7,9%, a prezzi costanti, rispetto alla media del 2021); i prezzi del petrolio e di altre materie prime non energetiche (grano, rame) in parziale flessione, sebbene restino ancora molto alti (91 dollari al barile il Brent a settembre, da 123 a giugno).
Tra quelli negativi invece il principale fattore critico è il rincaro del gas naturale in Europa. Il suo aumento ha diversi risvolti negativi. Fra tutti, l’inflazione che apre la porta alla crescita dei costi di produzione arrivati a livelli insostenibili; il rialzo dei tassi di interesse, con l’inevitabile aumento dello spread fra il Bund e il BTP.
Complessivamente, l’Italia cade quindi in una in stagnazione, alla quale si associa un’inflazione record (stagflazione?).
Come noto, in genere, la stagflazione si traduce in lunghissime e gravi recessioni. La stagflazione fa sembrare i periodi inflazionistici e deflazionistici come una passeggiata nel parco. Il modo migliore e più efficace per uscire dalla stagflazione è che i governi abbassino i loro tassi drasticamente. L’ultima volta che gli Stati Uniti furono in un periodo di stagflazione, alla fine degli anni ’70, ne uscirono proprio adottando questa misura, che li portò anche in breve tempo a prosperare. Ma oggi le banche centrale non sembrano propense a farlo, visto la lotta all’inflazione senza quartiere messa in campo.
Come si supera la crisi? Secondo la nostra analisi, non ci sono molte alternative. Il vero salto di qualità per contrastare il doppio shock (pandemico e bellico) ed evitare una severa stagflazione dell’economia Italiane ed europea, è riprodurre una capacità fiscale centrale. Va aggiunto che, per ottenere lo scopo, non basta oggi usare questa nuova capacità fiscale centrale per stabilizzare o per attuare riforme e investimenti nazionali.
Si tratta soprattutto di produrre beni pubblici europei. Un primo ovvio bene pubblico è la sicurezza europea, per organizzare una difesa non subordinata ad altri. Un altro bene pubblico potrebbe essere l’approvvigionamento centralizzato dell’energia, invece di lasciar competere tra di loro i paesi europei per accaparrarsi contratti con paesi (peraltro molto instabili). Ma l’elenco dei beni pubblici è corposo: per esempio, approvvigionamenti comuni indurrebbero la costruzione di gasdotti diversi da quelli che abbiamo. Tutto ciò, inevitabilmente, creerà tensioni rispetto alla transizione ‘verde’.
La scommessa è di gestire l’esistente senza rinunciare al futuro. L’Unione europea è chiamata a fare un salto di qualità, che ci avvicinerebbe al sogno federale. Se non si fa in un momento così drammatico, non si farà mai più (se non ora, quando).
Prevenire è meglio che curare. La strategia nel corso di una stagflazione è quella di aumentare l’esposizione agli asset reali come le materie prime, il settore immobiliare e le infrastrutture, che di solito si comportano meglio in un contesto inflazionistico o di rischio stagflazione.
E inoltre utile mantenere un’esposizione sia all’azionario di qualità, visto che i bilanci delle società sono ancora robusti, sia all’obbligazionario, che potrebbe riprendersi proprio sui rischi di recessione, dopo una prima parte dell’anno particolarmente difficile.
In particolare, per quanto riguarda l’azionario, i titoli azionari value sarebbero più interessanti rispetto ai growth, mentre sull’obbligazionario, secondo meglio orientarsi verso il credito di qualità superiore, ovvero mercati sviluppati piuttosto che emergenti, investment-grade piuttosto che high-yield.