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La FED guarda all'inflazione e alla disoccupazione. Investire negli USA? E dove?

Pubblicato 26.01.2023, 06:16

Dati USA importanti in uscita oggi alle 14:30: PIL del 4Q22 (stima 2,6% contro 3,2% del 3Q22), richiesta sussidi di disoccupazione WoW (stima 205k contro 190k della scorsa settimana). Alle 16:00 uscirà invece il dato relativo alla vendita di nuove case di dicembre (stima 614k unità contro 640k di novembre).
 
Ieri l’indice IFO di gennaio è risultato in crescita rispetto a dicembre a 90,2 punti (in linea con le stime e 88,6 a dicembre).
 
La disoccupazione, unita all’inflazione (e alla crescita economica), sono i dati che la FED monitora da vicino. Non che quelli di oggi siano derimenti nel definire il rialzo dei tassi il prossimo 1 febbraio (ci aspettiamo comunque 50 bp di rialzo), ma sicuramente sono ulteriori e importanti pezzi del puzzle complessivo.
 
Vediamo dunque più da vicino i due dati più importanti: l’inflazione e la disoccupazione. Quanto alla prima (l’inflazione), è innegabile che attualmente sia in fase di rallentamento rispetto ai massimi toccati lo scorso anno. Ci aspettiamo che la dinamica disinflattiva continui anche nel 2023, per quattro motivi:
•                 il primo statistico: le variazioni sono infatti via via più contenute perché confrontate con basi del 2022 più elevate rispetto al confronto 2021/2022, dove è l’effetto è stato esattamente contrario;
•                 il secondo, dovuto all’azione della politica monetaria che, solitamente, richiede sei / nove mesi prima di evidenziare qualche concreto effetto;
•                 il terzo: nel mese di gennaio la disinflazione è diventata deflazione (i prezzi sono scesi dello 0,1%, non hanno solo rallentato la corsa). Una larga parte della crescita dei prezzi post covid è stata causata dai colli di bottiglia nella supply chain e nella logistica. Colli di bottiglia in via di risoluzione;
•                 il quarto riguarda l’effetto di “sostituzione” dei fornitori cinesi con fornitori di altre zone del mondo, tra le quali Europa e America ched ha fatto crescere i prezzi. Terminata la fase di sostituzione, i prezzi rimarranno probabilmente più alti, ma smetteranno di aumentare.
 
Non ci aspettiamo comunque che il deflatore core PCE (la misura preferita dalla Fed per l'inflazione) possa raggiungere l’obiettivo del 2% prima della fine del 2024. 
 
Il secondo (il lavoro), è chiaro che la FED è preoccupata della dinamica salariale che sostiene i consumi e per questa via l’inflazione. Condizione necessaria per vedere un Powell meno falco, sembra dunque essere una relativa stabilità dei salari. Una crescita nell’intorno del 3,5% dovrebbe essere il livello compatibile con il 2% di inflazione (tenendo conto anche della dinamica della produttività che si attesta al momento nell’intorno dell’1,5%).
 
Pur essendo molto bassa storicamente, ai livelli attuali di disoccupazione (3,5%) non vediamo però un’inversione di tendenza a breve, considerato soprattutto che domanda e offerta di lavoro rimangono ancora distanti.
 
Per contenere gli aumenti salariali, la disoccupazione dovrebbe crescere di 1-1,5 punti percentuali e raggiungere il 4,5-5%, aprendo tuttavia le porte ad una recessione che potrebbe trasformarsi da soft a hard. Nel momento in cui la domanda supera ancora l’offerta, è difficile però che le imprese optino per questa soluzione (occorre comunque fare i conti dopo i licenziamenti annunciati dalle società tecnologiche).
 
Per il momento gran parte degli analisti è concorde nel ritenere che Powell darà il classico colpo alla botte e al cerchio. Nel senso che probabilmente accetterà tempi maggiori (ma non lunghissimi) rispetto a quanto preventivato solo sei mesi fa per raggiungere l’obiettivo di inflazione, consentendo un atterraggio morbido dell’economia e portando gradualmente la disoccupazione al 4,5-5%.
 
Poco chiaro è quanto si dovrà stare a terra. In altre parole, non è possibile conoscere la durata della recessione. Ovviamene questo aspetto è fondamentale per cercare di capire le performance dei mercati finanziari nel 2023.
 
In ogni caso, rimaniamo convinti che il 2023 possa portare interessanti opportunità di investimento. Per esempio in tutte quelle società il cui prezzo già sconta la contrazione registrata dai rispettivi settori di appartenenza. Se come abbiamo detto la profondità della recessione è incerta, è possibile però individuare società nelle aree tecnologiche, dei consumi e industriali che stanno già scontando un rallentamento significativo. Ai livelli attuali di prezzo, una buona parte di titoli di questi settori crediamo offra un rischio/rendimento interessante.
 
Se allunghiamo l’orizzonte temporale, il quadro complessivo tende a migliorare in modo sostanziale grazie al Build Back Better Act, pacchetto di investimenti e sussidi voluto dalla presidenza Biden che ha stanziato 1.750 miliardi di dollari per investimenti infrastrutturali, territorializzazione delle catene di fornitura, aumento della spesa per il settore manifatturiero e transizione energetica. Lo sforzo dell’amministrazione nel sostenere gli investimenti è destinato a produrre positivi cambiamenti nell’economia reale almeno per i prossimi 5/7 anni.

Di una cosa siamo certi: il prossimo decennio di leadership del mercato azionario sarà probabilmente molto diverso da quanto visto recentemente: il picco della globalizzazione, l’onshoring e i crescenti rischi geopolitici stanno creando cambiamenti strutturali significativi all’interno dell’economia USA e questo contribuirà a tenere più elevati i tassi di interesse e l’inflazione rispetto agli ultimi 10 anni. La maggiore consapevolezza della disruption tecnologica, che ha costituito uno dei maggiori talloni d’Achille delle aziende value negli ultimi dieci anni, contribuirà probabilmente a sostenerne gli utili. Questi cambiamenti avvantaggeranno le società con flussi di cassa a breve termine e duration più breve. 

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