Questo grafico parla da solo. Tutti gli indicatori di confidence aziendale delle principali economie mondiali sono scesi al di sotto della soglia di espansione.
Ieri è stata la volta dell’ISM.
L’indice ISM Americano si è attestato a 49.10 punti, varcando la soglia che delimita le fasi di crescita e quelle di contrazione dell’economia per la prima volta dal 2016.
A pesare sul dato, la forte contrazione della componente relativa ai nuovi ordinativi. Essa è scesa fino a 47.2. Trattasi di un calo marcato che si accosta al calo della componente relativa alla produzione, anch’essa scesa sotto la soglia di 50 a 49.50.
E’ intuibile che questi cali sono da imputare principalmente alle ripercussioni sui traffici e sulla domanda derivante dalla guerra commerciale in atto. L’applicazione di tariffe sul commercio discentiva per sua natura gli acquisti (rendendo le merci più care) e impatta direttamente la domanda.
Cio’ che dobbiamo chiederci è se tale debolezza del settore manifatturiero (che in USA pesa per l’11% del PIL) possa riflettersi presto in una contrazione dei consumi.
Man mano che il sentiment aziendale peggiora, le aziende saranno sempre meno inclini ad assumere e/o ad aumentare salari e bonus. Questo si rifletterà direttamente sull’offerta di lavoro e sul potere di acquisto delle famiglie. In tale contesto è possibile assistere ad un deterioramento della consumer confidence prima e dei consumi poi.
Gli ultimi dati sulla consumer confidence americana hanno gia’ evidenziato un peggioramento del sentiment dei consumatori.
Il sondaggio dell’Università del Michigan evidenzia un netto calo di entrambe le componenti (situazione attuale e futura) che porta il dato finale da 92.10 a 89.80 in un solo mese.
Tale peggioramento del sentiment non si riflette ancora sui c.d. dati hard. Gli ultimi dati sulle vendite al dettaglio in USA di luglio sono stati ancora piuttosto forti evidenziando una crescita mensile dello 0.6% (escluse le auto). Nelle prossime settimane sara’ questa variabile macro quella da monitorare. Un progressivo deterioramento dei consumi e’ l’evento che aprirebbe le porte allo scenario recessivo tanto temuto (e in gran parte gia’ scontato) dal mercato, almeno dal comparto obbligazionario.
I trader e i gestori del mondo bond continuano a scommettere non solo sul verificarsi di uno scenario recessivo ma anche sull’incapacità delle banche centrali ad essere sufficientemente efficaci nel tentativo di ripristinare determinati livelli di inflazione. Questo ci dicono le curve di rendimento che continuano ad essere caratterizzate da un sempre minore spread tra i rendimenti a 10 anni e quelli a lunghissima scadenza. Le aspettative di inflazione futura continuano a diminuire rendendo sempre piu’ difficile il compito delle banche centrali.
In tale contesto assumeranno sempre maggiore importanza le riforme strutturali e gli incentivi fiscali introdotti dai governi. Se, come sconta il mercato, le banche centrali finiranno per essere sempre meno “impattanti”, lo scettro per il recupero dell’inflazione e della crescita dovra’ passare ai governi. C’è da chiedersi quali governi possano permettersi di porre in essere misure espansive.