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Tobin Tax – Una proposta alternativa

Pubblicato 13.11.2012, 15:50
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IFMA (Italian Financial Market Advisor)

Tobin Tax – Una proposta alternativa

Siamo in presenza di una tassa che danneggia il sistema economico con una flessione del PIL e che, con ragionevole certezza, genererà un calo delle entrate per lo Stato, producendo solo disoccupazione e inflazione.
Come se tutto ciò non bastasse, la tassazione prevista esclude gli speculatori internazionali, mentre va a colpire in modo indiscriminato i risparmiatori italiani.

1. Fuga dei capitali

Il governo ha ammesso, nella relazione tecnica di accompagnamento al disegno di legge sulla stabilità, un calo degli scambi sui mercati italiani pari a 7.000 miliardi di euro.

Ci domandiamo: può il sistema economico italiano permettersi il lusso di perdere una concentrazione di risorse di queste dimensioni?
A tale riguardo, non è difficile immaginare che i flussi di denaro in uscita dai nostri mercati (azionario ed obbligazionario) saranno intercettati in primo luogo da Gran Bretagna, Stati Uniti e Svizzera. Per altri aspetti, direttamente connessi allo spread con i nostri titoli di stati, favorita in questo processo appare anche la Germania.

Infatti, dal momento che, nell’impostazione italiana della legge vengono esclusi i titoli di stato, è facile pensare che importanti flussi di capitale si dirigeranno verso il Bund, con incalcolabili ripercussioni sullo spread fra lo stesso e i titoli governativi italiani. Proseguendo nella lista dei paesi che contribuiremo ad arricchire va menzionata anche l’Olanda.

L’Italia (in attesa dell’approvazione del testo promosso da 10 paesi dell’Unione Europea) sarà pertanto l’unico paese al mondo ad avere una c.d Tobin Tax di stampo così penalizzante per il Sistema Paese. Infatti, il testo approvato in Francia, ad agosto, non coinvolge i derivati, esclude i titoli più piccoli per capitalizzazione e le operazioni aperte e chiuse in giornata.

E’ poi noto a tutti gli osservatori e tecnici della materia che la tassa sulle transazioni finanziarie non ci sarà sicuramente in quasi due terzi dei paesi Ue. I paesi contrari sono: Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia, Lussemburgo, Irlanda, Cipro, Gran Bretagna, Malta, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Lituania, Lettonia, Romania e Bulgaria.

Fra questi vanno ricordati il caso della Svezia e della Gran Bretagna. La prima l’ha già sperimentata negli anni 80 (assieme alla Francia), con effetti talmente devastanti da costringere il legislatore a fare marcia indietro. In gran Bretagna è stata introdotta un’imposta analoga chiamata Stamp Duty (aliquota 0,50%) ma che non è pagata sulle transazione effettuate dai membri della borsa. Gli investitori inglesi, poi, evitano il pagamento della stessa prendendo posizioni sui titoli azionari tramite strumenti denominati cfd.

2. Aumento dei costi di finanziamento delle imprese e inflazione per i consumatori


La già difficile situazione economica del nostro paese non potrebbe che riflettere e amplificare la carenza di liquidità sui listini domestici, causa contrazione degli scambi (come del resto previsto nella relazione accompagnatoria del Governo al disegno di legge); a quel punto la prevedibile discesa delle quotazioni sul nostro mercato azionario, comporterà sicuramente la crescita, per correlazione, dei rendimenti dei titoli corporate (le obbligazioni), peggiorando le condizioni di accesso al credito delle imprese quotate.

Sempre sul fronte dell’accesso al credito le cose si complicano anche in fase di emissione. Un mercato secondario poco efficiente, quale è quello dei titoli già emessi, peggiora le condizioni degli strumenti in collocamento (il primario); di conseguenza avremo I.P.O. a prezzi più bassi e collocamenti di bond a prezzi più contenuti, e rendimenti naturalmente più alti.

Il rientro dagli investimenti diventerà più complicato per chi non vuole portare a scadenza gli strumenti finanziari. Il problema è cosi concreto che il Tesoro è stato lungimirante: auto promulgando una legislazione di favore, ha escluso dalla base imponibile i titoli di stato! I maggiori oneri finanziari, in un periodo di margini erosi per le aziende, imporrà la necessità di ribaltare i costi sui consumatori.

Cosi’ come i costi sostenuti dalle banche per le coperture del rischio tasso sui mutui, e gli oneri delle imprese esportatrici per coprire i rischi sul cambio, saranno ugualmente ribaltati sui consumatori. Infine, l’introduzione della tassa andrà inevitabilmente ad erodere le performance dei Fondi Pensione

3. Borsa Valori e Sistema Economico


Esiste una relazione diretta fra dimensioni del prodotto interno lordo e efficienza e qualità del sistema finanziario. Il PIL italiano è il nono al mondo. La ricchezza reale del paese non sarebbe allineata e compatibile con una Borsa Valori “azzoppata” di oltre il 40-45% della sua liquidità.

Ricordiamo che attualmente abbiamo una capitalizzazione di Borsa ai minimi storici: 20% del nostro PIL (per fare un paragone, la capitalizzazione attuale delle Borse Usa è al 105% del Pil Usa). Non è fuori luogo riconoscere che Piazza Affari con i suoi 200 anni di storia è a rischio “chiusura”. L’allineamento del PIL alle evoluzioni della Borsa post imposta ci trascinerebbero ben al di sotto di molti paesi del “terzo mondo”.

4. Aumento della volatilità e della speculazione. Rischio manipolazione


Il forte calo della liquidità dovuto all’introduzione dell’imposta, aumenterà la volatilità facendo muovere i prezzi dei titoli a strappi. E’ chiaro che è ben diversa la liquidità dei mercati se ci sono 100 venditori e 100 compratori, rispetto alla eventualità che ve ne siano invece decine di migliaia. Gli operatori stranieri che non pagano l’imposta potranno spadroneggiare sul nostro mercato mettendo a rischio pezzi del sistema economico italiano e singole aziende con importi più limitati. I fondi speculativi americani, solo per citare un esempio, potranno scambiarsi illimitati quantitativi di titoli senza essere assoggettati all’imposta.

L’andamento del mercato azionario italiano in un’economia globale, per buona parte, è correlato a quello delle altre piazza finanziarie internazionali. L’andamento dei mercati azionari, poi, segue il ciclo economico ed è solo un indicatore importante dello stato di salute dell’economia.

Se le aspettative per l’economia del nostro paese dovessero peggiorare, la discesa del mercato potrebbe diventare assai significativa senza il paracadute della liquidità. L’andamento dell’indice, verosimilmente, accentuerà i movimenti degli altri benchmark internazionali con gravi ripercussioni in fase di discesa dei listini. L’imposta sembra poi penalizzare le operazioni di breve periodo che puntano a guadagni limitati per favorire operazioni di lungo periodo.

Gli investimenti con orizzonte temporale più lungo, per essere giustificati, necessitano di guadagni consistenti. La dimostrazione che tale imposta non va a colpire la speculazione è data proprio dall’esclusione dei titoli di Stato, che potrebbero essere nuovamente attaccati dai grandi fondi esteri. La storia recente lo ha ampiamente dimostrato. Le transazioni in parte migreranno all’estero dove non si paga l’imposta e in parte non avranno più convenienza economica. Gli stessi tecnici del governo italiano ammettono un calo degli scambi fino all’80%. Il gettito previsto per l’Italia, la terza economia continentale, è solo di 1 miliardo di euro circa; nella migliore delle ipotesi, gli altri paesi favorevoli contribuiranno fino a 5 miliardi.

Dove sono gli altri 49 promessi a livello europeo ? I numeri indicati nel disegno di legge sulla stabilità sono eccessivamente ottimistici: sarà sufficiente un calo delle quotazioni e delle negoziazioni per metterlo in discussione. Il governo non ha poi calcolato il mancato gettito connesso all’Irpef (piu’ di 20 mila addetti perderanno il lavoro), all’Iva del settore legata a convegnistica, le plusvalenze da negoziazione e capital gain, il bollo sui depositi titoli e sui conti correnti.

Proposta di Emendamento al Disegno di Legge di Stabilità.


Alla luce di quanto sopra scritto, l’IFMA ritiene che la strada più corretta sarebbe quella di una sospensione della normativa in attesa di un testo condiviso in sede Europea. Se invece si intendesse comunque assicurare un gettito all’erario, il suggerimento tecnico sarebbe di riscrivere i commi 18 e 19 dell’articolo 12 del Disegno di Legge sulla Stabilità 2013 come di seguito.

Art. 12, comma 18


La compravendita di azioni, e di altri strumenti finanziari partecipativi emessi da società residenti nel territorio dello Stato è soggetta ad imposta di bollo. La tariffa è pari a 1 euro per le compravendite effettuate nell’ambito dei mercati regolamentati di cui all’articolo 61 del Decreto Legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998 e nei sistemi di negoziazione diversi dai mercati regolamenti di cui agli articoli 61, 77 bis, 78 e 79. La tariffa è pari allo 0,05% del valore della transazione per le compravendita effettuate nei mercati non regolamentati.

L’imposta è dovuta anche se la compravendita avviene al di fuori del territorio dello Stato. Sono escluse dall’imposta le operazioni di emissione e di annullamento dei titoli azionari e dei predetti strumenti finanziari.

Gli ordini cancellati e modificati inoltrati nei mercati regolamentati di cui all’articolo 61 del Decreto Legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998 e nei sistemi di negoziazione diversi dai mercati regolamenti di cui agli articoli 61, 77 bis, 78 e 79 sono assoggettati ad un’imposta di bollo fissa di 0,10 euro a transazione laddove il risultato del rapporto fra il numero di ordini eseguiti e la somma del numero di ordini cancellati e modificati, in un’unica seduta di contrattazione, sia inferiore a 0,02.

Art. 12, comma 19


Le operazioni su strumenti finanziari derivati di cui all’art. 1, comma 3 del decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998, effettuate nell’ambito dei mercati regolamentati di cui all’articolo 61 del Decreto Legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998 e diverse da quelle sui titoli di stato di paesi appartenenti all’Unione Europea e aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni, sono assoggettate ad un’imposta fissa di 1 euro per singolo lotto negoziato.

I derivati di cui all’articolo 1 comma 2 lettera i) del Decreto Legislativo n. 58/1998 aventi ad oggetto un rapporto valutario sono assoggettati ad un’imposta di bollo pari allo 0,002% del valore del nozionale movimentato con la transazione; i derivati di cui all’articolo 1 comma 2 lettera i) del Decreto Legislativo n. 58/1998 aventi ad oggetto un sottostante diverso da un rapporto valutario sono assoggettati ad un’imposta di bollo pari ad 1 euro per transazione.

Le operazioni su strumenti finanziari derivati di cui all’art. 1, comma 3 del decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998 perfezionate su mercati non regolamentati e diverse da quelle sui titoli di stato di paesi appartenenti all’Unione Europea e aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni sono soggette, al momento della loro conclusione, ad imposta di bollo con l’aliquota dello 0,05% sul valore nozionale di riferimento del contratto.

Gli ordini cancellati e modificati inoltrati nei mercati regolamentati di cui all’articolo 61 del Decreto Legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998 e nei sistemi di negoziazione diversi dai mercati regolamenti di cui all’ articolo 61 sono assoggettati ad un’imposta di bollo fissa di 0,10 euro a transazione laddove il risultato del rapporto fra il numero di ordini eseguiti e la somma del numero di ordini cancellati e modificati, in un’unica seduta di contrattazione, sia inferiore a 0,02.


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Ulteriori considerazioni

Secondo l’IFMA, le stime del governo appaiono ottimistiche in quanto il gettito derivante dall’applicazione della tassa sul mercato azionario è stato calcolato non tenendo conto, per quanto concerne la base imponibile, dell’incidenza degli operatori che non pagheranno l’imposta secondo il disegno di legge di stabilità.

Parimenti, secondo l’Associazione, il gettito del mercato dei derivati è sovrastimato e non tiene conto degli effetti che, l’enormità della percentuale scelta (0.05%) avrà sul calo dei volumi (come successivamente spiegato in dettaglio).

Una ulteriore perdita si avra’ sul gettito da azioni sui mercati regolamentati proprio per l’incidenza dell’aliquota (0.05%) Infine Non si tiene conto del mancato gettito prodotto da Ires , Irpef, Iva e Capital Gain ogni anno versati da operatori Istituzionali, Persone Fisiche e Aziende di Intermediazione.



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* Con tassazione dello 0.05% il gettito da azioni sui mercati regolamentati dovrebbe ridursi almeno di ulteriori 30 milioni di Euro.
** Con tassazione dello 0.05% il gettito da derivati regolamentati e da derivati Otc dovrebbe subire una ulteriore contrazione del 10% (non 80% ma 90%) .
*** Perdita del gettito IRES,IRPEF , IVA, E CAPITAL GAIN.



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Considerazioni finali

L’IFMA, Italian Financial Market Advisor, con spirito assolutamente costruttivo, ha ritenuto di dare il proprio contributo all’applicazione di una Tobin tax che non vada a danneggiare irrimediabilmente il mercato finanziario italiano, assumendosi la responsabilità di affidare all’amministrazione dei numeri che risultino quanto piu’ vicini alla realtà.

Il tutto attraverso il contributo dei molteplici esperti del settore che si sono dedicati, con assoluto senso di responsabilità civile, alla ricerca di una soluzione che tenga conto della necessità di condividere sacrifici in un momento tanto delicato ma che, al contempo, non vada a distruggere un patrimonio tanto importante dell’economia italiana.

Antonio Carnevale,

Presidente IFMA

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