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Di segnali di un’Europa unita, nonostante la situazione critica che stiamo vivendo in queste settimane, ce ne sono ben pochi.
I governi europei si sono dati due settimane di tempo per cercare una soluzione all’emergenza economica a cui questo virus ha dato luce. Questa crisi, completamente diversa da quelle dovute affrontare in questi ultimi anni ha preso in controtempo tutti i leader europei, i quali non avrebbero mai pensato di dover fronteggiare una situazione che secondo l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, potrebbe diventare di proporzioni “bibliche”.
Il consiglio europeo dello scorso giovedì ha dimostrato che nemmeno in una situazione difficile sia dal punto di vista economico che sanitario l’Europa riesce ad essere unita. I vecchi rancori continuano a farsi sentire ma questa volta la rimessa potrebbe essere collettiva, non solo dei Paesi più indebitati. In questo caso infatti, non si tratta di salvare un solo Paese eccessivamente indebitato o in una situazione economica critica ma piuttosto di fronteggiare un fenomeno che non sappiamo come e quando si fermerà e quali effetti catastrofici possa lasciarsi alle spalle.
Il momento è particolarmente delicato e la soluzione a cui tutti gli stati vogliono giungere è reperire liquidità da iniettare nel proprio sistema economico prima che questo collassi. Le proposte che per adesso sembrano essere più adeguate sono due: Mes e Coronabond. Il primo, nonostante sia stato proposto a gran voce dagli stati del nord che sembrano non voler comprendere la gravità della situazione, non convince molto coloro che stanno chiedendo aiuto, a causa delle forti restrizioni e della scarsa liquidità che questo strumento consentirebbe. I Coronabond invece non sono nient’altro che titoli di debito emessi da un’istituzione europea con l’obiettivo di condividere il debito futuro legato al virus tra i vari Paesi dell’unione.
Gli stati del nord Europa avendo conti pubblici ordinati e un basso livello di indebitamento non hanno intenzione di “mischiare” il loro debito con quello dei Paesi del sud, invitando l’Italia e gli altri Paesi bisognosi di liquidità immediata a ricorrere al Mes, proponendo così un indebitamento individuale. Non si comprende però il motivo di una tale insistenza dal momento che i coronabond andrebbero a creare un debito comune separato da quello pregresso che ogni nazione detiene evitando così una possibile confusione di debito.
In realtà i Paesi del nord come Germania, Olanda, Finlandia e non solo, sono in grado di finanziare autonomamente le spese interne, non avendo interesse a fare diversamente e lasciando gli altri con la soluzione del Mes, il quale però presenta i limiti detti sopra. I Paesi del sud invece, Italia in primis, spingerebbero per l’opzione coronabond la quale consentirebbe di reperire maggiore liquidità con minori restrizioni. Questa situazione ha portato ad uno stallo in un momento in cui servirebbe coesione politica e rapidità di manovra.
Mario Draghi, tramite un’intervista su Financial Times ha evidenziato che la criticità della situazione richiede velocità di decisione e d’intervento.
Queste le sue parole: “Di fronte a circostanze impreviste, un cambiamento di mentalità è necessario in questa crisi come lo sarebbe in tempi di guerra. Lo shock che stiamo affrontando non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di nessuno di coloro che ne soffrono. Il costo dell'esitazione può essere irreversibile.”
Il messaggio ai leader europei è stato chiaro: salvare le aziende fornendole la liquidità necessaria senza preoccuparsi di creare debito. Una velocità d’esecuzione di cui i leader europei non sembrano ancora sentirne la necessità. Se l’Europa vuole avere un futuro, è tempo di mettere da parte i vari risentimenti e giungere al più presto ad una soluzione comune, sperando non sia troppo tardi.