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Trivellatori USA tagliano gli impianti ma restano nel mirino russo-saudita

Pubblicato 11.03.2020, 15:31

Considerati in parte responsabili del peggior calo del prezzo in tre decenni ed in attesa del castigo che sarà imposto loro da sauditi e russi, i trivellatori di scisto USA vengono dipinti nuovamente come l’incarnazione della sovrapproduzione di greggio.

Tuttavia, il numero degli impianti attivi negli USA (un affidabile indicatore della produzione, sebbene in ritardo) è sceso di 152 unità, o del 18%, su base annua. Ciò significa che, anche se la produzione di greggio USA ha raggiunto il record di 13,1 milioni di barili al giorno a fine febbraio, il settore sta lavorando per ridurre la produzione.

Ovviamente, i trivellatori non si sono sempre comportati in modo corretto.

Un tempo colpevoli di autodistruzione

Molti sono stati colpevoli di autodistruzione nel bel mezzo dell’ultimo decennio, quando producevano come se non ci fosse un domani. All’apice della sconsideratezza del settore dell’ottobre 2014, c’erano 1.609 impianti attivi. E questo aveva portato il prezzo del greggio USA giù dai massimi di oltre 100 dollari al barile a circa 26 dollari, innescando più di un centinaio di bancarotte nel settore dello scisto in soli 18 mesi.

WTI Futures Weekly Price Chart

Grafico prezzi settimanali dei future WTI

E, come se non avessero imparato la lezione, i trivellatori USA hanno riaperto i rubinetti al massimo due anni dopo. Questa volta, il numero degli impianti era schizzato dal minimo di 316 del maggio 2016 ad 873 del dicembre 2018. Con conseguenti ulteriori enormi disastri.

Ma, da allora, i cosiddetti fracker del greggio USA (un diminutivo per indicare la fratturazione idraulica, o fracking, del greggio di cui si occupano) sono stati perlopiù disciplinati, resistendo all’aumento degli impianti persino quando il greggio USA aveva raggiunto il massimo del 2019 di quasi 77 dollari al barile.

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Limitazioni esemplari ora

Per la delusione degli orsi del greggio, che contavano sul fracking per ripetere le pratiche di espansione e contrazione degli anni passati, molti nell’industria dello scisto negli ultimi due anni si sono focalizzati nel ridurre le spese, nel preservare il capitale e nel pagare agli investitori dividendi decenti.

Malgrado le limitazioni, la produzione di greggio USA è aumentata di oltre 2 milioni di barili al giorno in media dalla fine del 2018, rendendo gli Stati Uniti il principale produttore al mondo. Nel frattempo, il paese è anche diventato un esportatore netto di greggio, raggiungendo il suo obiettivo di 40 anni di ottenere l’indipendenza energetica.

Quindi, quando i sauditi e i russi hanno dichiarato una guerra per la partecipazione sul mercato del greggio questa settimana, con il palese obiettivo di sconfiggere lo scisto USA che ritengono responsabile dei loro problemi, la domanda da porsi è: perché continua ad esserci una disconnessione tra il calo del numero di impianti ed i tassi di produzione USA?

La risposta, a quanto pare, è che i trivellatori stanno tagliando ma non nei loro giacimenti più produttivi o redditizi. Il lento ma sicuro completamento da parte dei fracker dei cosiddetti DUC (pozzi scavati ma non completati) ha contribuito ad apportare greggio ai giacimenti, senza aumentare il numero degli impianti.

Dopo il crollo del 25% del prezzo del greggio USA lunedì, il calo maggiore in tre decenni, eclissato solo da una riduzione percentuale persino maggiore dei titoli dei trivellatori, queste compagnie hanno continuato a promettere una disciplina fiscale.

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Più disciplina in arrivo

Diamondback Energy (NASDAQ:FANG) ha ridotto la sua attività da 9 a 6 squadre di completamento, tagliandone due in più del previsto. Il produttore di scisto ha dichiarato che taglierà anche le spese in conto capitale, sebbene non abbia specificato la cifra.

Parsley Energy (NYSE:PE) ha reso noto di aver ridotto le previsioni sui flussi di cassa disponibili 2020 ad almeno 85 milioni di dollari, dalla stima precedente di almeno 200 milioni ed ha annunciato anche un rallentamento dell’attività generale.

Anche EOG Resources (NYSE:EOG) intende diminuire le spese per proteggere i ritorni per il dividendo dei suoi azionisti e rilascerà i dettagli in seguito.

Occidental Petroleum (NYSE:OXY) ha reso noto che abbasserà il dividendo da 0,79 a 0,11 dollari ad azione. La compagnia ridurrà anche le spese in conto capitale 2020 a 3,5-3,7 miliardi di dollari dai 5,2-5,4 miliardi precedenti ed implementerà ulteriori riduzioni dei costi operativi ed aziendali.

La pressione russo-saudita non può essere sottovalutata

“La prospettiva di prezzi del greggio WTI in un range di 30-45 dollari al barile fino alla metà del 2021 probabilmente spingerà i produttori USA a ridurre l’attività per gestire meglio il rapporto spese in conto capitale/flussi di cassa”, scrive in una nota di ieri Goldman Sachs.

La principale voce sul trading degli energetici a Wall Street inoltre non si fa illusioni circa le pressioni che la campagna russo-saudita opererà sugli orsi dello scisto nei prossimi mesi. Aggiunge Goldman:

“Stiamo tornando ad un periodo di riduzione dello scisto visto l’ultima volta in risposta alla (situazione di) eccesso di scorte (del) 2014 ed alla decisione dell’OPEC di favorire la partecipazione di mercato”.

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