Investing.com – I futures del petrolio sono in calo al minimo da metà dicembre nel corso della mattinata europea; gli investitori hanno tagliato le proprie posizioni in asset legati alla crescita tra i timori che la crisi in Grecia possa tradursi nell’uscita del paese dalla zona euro.
Sul New York Mercantile Exchange, i futures del greggio con consegna a giugno sono stati scambiati a 94,90 dollari al barile, durante la mattinata europea, in calo dell’1,3%.
Precedentemente i prezzi erano scesi dell’1,45% al minimo di 94,74 dollari al barile, il minimo dal 20 dicembre 2011.
Gli investitori continuano a monitorare gli sviluppi in Grecia, dopo il fallimento della coalizione del governo in seguito alle elezioni della scorsa settimana; intanto si sollevano i timori su un eventuale default e la conseguente uscita del paese dalla zona euro.
Ieri Alexis Tsipras, leader del maggiore partito greco, anti-salvataggio, la Syriza, ha rifiutato l’invito del presidente de paese per un incontro con gli altri partiti per effettuare un ultimo tentativo di formare un nuovo governo; il suo rifiuto sostiene la convinzione che le nuove elezioni siano inevitabili.
I partiti non hanno trovato l’accordo circa le misure impopolari di austerità chieste dai creditori internazionali come condizione per ricevere il salvataggio di 130 miliardi di euro.
Si teme che la crisi del debito sovrano della zona euro possa causare un ulteriore rallentamento che influenzerà la curva della domanda del petrolio.
La zona euro ha rappresentato il 12% del consumo globale di petrolio, secondo i dati British Petroleum.
Il clima generale di avversione al rischio ha spinto gli investitori a tralasciare investimenti più rischiosi come titoli e materie prime, buttandosi invece verso la relativa sicurezza del dollaro.
L’indice del dollaro, che replica la performance del biglietto verde contro un paniere di altre sei principali valute, è salito dello 0,25% a 80,62, il massimo dal 16 marzo.
Ulteriore pressione sull’oro arriva dai dati cinesi rilasciati nel corso del week end e che accendono timori per un rallentamento della seconda economia mondiale maggiore del previsto.
I traders del petrolio hanno seguito nel corso del week end una manovra di allentamento della Banca Popolare Cinese.
La Banca Popolare Cinese ha deciso di tagliare il ratio di riserve delle banche dal 20,0% al 20,5%, dal 18 maggio. Si è trattato del terzo taglio in tre mesi.
Un rallentamento della Cina, la seconda economia mondiale, significherebbe una minore espansione globale, già altalenante per via delle aspre misure di austerità della zona euro.
La Cina è il secondo consumatore mondiale di petrolio, e dopo gli USA, rappresenta il motore principale che traina la crescita della domanda.
Sull’ICE Futures Exchange, i futures sul petrolio Brent con consegna a giugno sono scesi dello 0,09%, a 110,80 dollari al barile, con lo spread tra i contratti Brent e quelli del greggio a 15,90 dollari al barile.
I prezzi sono andati sotto pressione ulteriormente dopo che il ministro del petrolio in Arabia Saudita Ali al-Naimi ha dichiarato che il prezzo del Brent scenderà a 100 dollari al barile.
Ali al-Naimi ha aggiunto che vorrebbe vedere un aumento delle riserve mondiali prima del picco della domanda nella seconda metà dell’anno.
Il Brent, il benchmark europeo, è oltre il 13% al di sotto del massimo intraday 128,38 toccato il 1° marzo.
Una perdita potenziale di forniture di petrolio iraniano ha contribuito a sostenere i forti aumenti dei prezzi del petrolio nella conclusione dello scorso anno e nel primo trimestre di quest’anno.
Ma i colloqui tra l’Iran le grandi potenze sulle ambizioni nucleari di Teheran, insieme all’aumento della produzione dell’Arabia Saudita e della Libia e dei segni di rallentamento della crescita economica statunitense e sull’occupazione, hanno spinto i prezzi del petrolio verso i massimi del primo trimestre.
Sul New York Mercantile Exchange, i futures del greggio con consegna a giugno sono stati scambiati a 94,90 dollari al barile, durante la mattinata europea, in calo dell’1,3%.
Precedentemente i prezzi erano scesi dell’1,45% al minimo di 94,74 dollari al barile, il minimo dal 20 dicembre 2011.
Gli investitori continuano a monitorare gli sviluppi in Grecia, dopo il fallimento della coalizione del governo in seguito alle elezioni della scorsa settimana; intanto si sollevano i timori su un eventuale default e la conseguente uscita del paese dalla zona euro.
Ieri Alexis Tsipras, leader del maggiore partito greco, anti-salvataggio, la Syriza, ha rifiutato l’invito del presidente de paese per un incontro con gli altri partiti per effettuare un ultimo tentativo di formare un nuovo governo; il suo rifiuto sostiene la convinzione che le nuove elezioni siano inevitabili.
I partiti non hanno trovato l’accordo circa le misure impopolari di austerità chieste dai creditori internazionali come condizione per ricevere il salvataggio di 130 miliardi di euro.
Si teme che la crisi del debito sovrano della zona euro possa causare un ulteriore rallentamento che influenzerà la curva della domanda del petrolio.
La zona euro ha rappresentato il 12% del consumo globale di petrolio, secondo i dati British Petroleum.
Il clima generale di avversione al rischio ha spinto gli investitori a tralasciare investimenti più rischiosi come titoli e materie prime, buttandosi invece verso la relativa sicurezza del dollaro.
L’indice del dollaro, che replica la performance del biglietto verde contro un paniere di altre sei principali valute, è salito dello 0,25% a 80,62, il massimo dal 16 marzo.
Ulteriore pressione sull’oro arriva dai dati cinesi rilasciati nel corso del week end e che accendono timori per un rallentamento della seconda economia mondiale maggiore del previsto.
I traders del petrolio hanno seguito nel corso del week end una manovra di allentamento della Banca Popolare Cinese.
La Banca Popolare Cinese ha deciso di tagliare il ratio di riserve delle banche dal 20,0% al 20,5%, dal 18 maggio. Si è trattato del terzo taglio in tre mesi.
Un rallentamento della Cina, la seconda economia mondiale, significherebbe una minore espansione globale, già altalenante per via delle aspre misure di austerità della zona euro.
La Cina è il secondo consumatore mondiale di petrolio, e dopo gli USA, rappresenta il motore principale che traina la crescita della domanda.
Sull’ICE Futures Exchange, i futures sul petrolio Brent con consegna a giugno sono scesi dello 0,09%, a 110,80 dollari al barile, con lo spread tra i contratti Brent e quelli del greggio a 15,90 dollari al barile.
I prezzi sono andati sotto pressione ulteriormente dopo che il ministro del petrolio in Arabia Saudita Ali al-Naimi ha dichiarato che il prezzo del Brent scenderà a 100 dollari al barile.
Ali al-Naimi ha aggiunto che vorrebbe vedere un aumento delle riserve mondiali prima del picco della domanda nella seconda metà dell’anno.
Il Brent, il benchmark europeo, è oltre il 13% al di sotto del massimo intraday 128,38 toccato il 1° marzo.
Una perdita potenziale di forniture di petrolio iraniano ha contribuito a sostenere i forti aumenti dei prezzi del petrolio nella conclusione dello scorso anno e nel primo trimestre di quest’anno.
Ma i colloqui tra l’Iran le grandi potenze sulle ambizioni nucleari di Teheran, insieme all’aumento della produzione dell’Arabia Saudita e della Libia e dei segni di rallentamento della crescita economica statunitense e sull’occupazione, hanno spinto i prezzi del petrolio verso i massimi del primo trimestre.