Da AD e Presidente prese in mano le redini di una Fiat (MI:FCHA) reduce dai terribili anni 70 e la trasformò in una holding moderna. L’uscita dei libici, la marcia dei 40.000 e il legame con la Mediobanca (MI:MDBI) di Cuccia
Se gli anni 80 sono ancora oggi il simbolo dell’uscita dell’Italia dal tunnel degli anni 70 segnati dal terrorismo e dall’inflazione galoppante, sicuramente hanno in Cesare Romiti, scomparso all’età di 97 anni, il volto che li simboleggia. Per la Fiat, e non solo, gli anni 70 furono un decennio terribile, segnato dalle Brigate Rosse che erano riuscite a infiltrarsi nelle fabbriche, e dagli shock petroliferi che avevano penalizzato le vendite di auto e fatto partire l’inflazione galoppante con la complicità di scala mobile e rivendicazioni salariali spinte dalla teoria della ‘variabile indipendente’ delle retribuzioni. Nel 1976, anno dell’arrivo di Romiti in Fiat, il titolo era precipitato ai minimi, costringendo la casa torinese a ricorrere ai petrodollari di Gheddafi per ricapitalizzarsi, con l’ingresso della libica Lafico al 15% dell’azionariato.
PIENI POTERI IN FIAT
Nel luglio del 1980 la Fiat decide di dare pieni poteri a Romiti, che assume da Umberto Agnelli tutti gli incarichi operativi con la benedizione del grande capo di Mediobanca Enrico Cuccia, diventando amministratore delegato unico. Romiti prende subito il toro per le corna, affronta il nodo dei costi fuori controllo annunciando appena insediato il licenziamento di 14 mila dipendenti, e andando a uno scontro durissimo con i sindacati che a settembre del 1980 avrebbe visto il segretario del Partito Comunista Enrico Berlinguer andare a presidiare con gli operai i cancelli del Lingotto di Torino. Lo stabilimento di Mirafiori resta bloccato dagli scioperi per oltre un mese, ma Romiti trova un alleato nei ‘quadri’, che vogliono lavorare e non scioperare, e a ottobre dello stesso anno organizzano la famosa ‘marcia dei 40.000’, che prende tutti in contropiede...
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge
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