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Il Crowdfunding diventa grande

Pubblicato 13.11.2023, 06:34
© Reuters.

di Tiziana Tripepi

Le piattaforme che in questi giorni stanno ottenendo le prime autorizzazioni dalla Consob per operare secondo le nuove regole previste dal regolamento europeo sono degli intermediari finanziari a tutti gli effetti. Il mercato premierà i più forti

Il D-day è già passato. Il 10 novembre è entrato ufficialmente in vigore il Regolamento europeo 1503/2000 rivolto ai fornitori di servizi di crowdfunding (ECSP, European Crowdfunding Service Providers), che ha lo scopo di tutelare gli investitori, soprattutto quelli non professionali, e di creare un mercato unico più competitivo e trasparente. Termina così il regime nazionale di crowdfunding, quello che in Italia ha operato a partire dal Decreto Crescita 2012, che lo aveva istituito.

Dieci i portali autorizzati a oggi

Dal giorno successivo, l’11 novembre, gli 85 portali di crowdinvesting italiani sono stati spenti (rimangono accesi quelli di equity in attesa di autorizzazione e quelli di lending per la restituzione dei prestiti). Iniziano invece la loro operatività quelli che hanno ottenuto l’autorizzazione di Consob e Banca d’Italia, prevista dal regolamento. A oggi sono dieci. Le piattaforme di equity Mamacrowd, Crowdfundme, BacktoWork, Doorway, il portale di prestiti peer-to-peer nel settore energetico Ener2Crowd, Fundera, specializzata in minibond. E quattro piattaforme di crowdfunding immobiliare: Concrete, Yeldo Crowd, Walliance e la neonata Buildbull. Sono quelle che si sono mosse prima (già l’Italia era partita in ritardo rispetto ad altri Paesi europei), o che meglio di altre hanno risposto ai nuovi e stringenti requisiti richiesti dal regolamento.

Da intermediari “digitali” a intermediari finanziari

«Il Regolamento europeo apporta un profondo cambiamento sia al ruolo che alla struttura di questi portali» spiega Alessandro Lerro, avvocato specializzato in crowdfunding e partner di Avvocati.net. «Molti di essi erano nati come startup, come intermediari “digitali” tra chi chiedeva soldi per finanziare la sua impresa e chi era disposto a investire in questi progetti. Ora si richiede che siano invece degli intermediari finanziari a tutti gli effetti». Le piattaforme potranno infatti collocare (ovviamente tramite la formula del crowdfunding) qualsiasi tipo di strumento finanziario: azioni, obbligazioni, minibond, convertibili, safe, note di cartolarizzazione. Avranno la facoltà di gestire il portafoglio dei loro clienti. Anche se potranno comunque decidere di concentrarsi solo su determinate verticali».

Avv.Lerro

«La loro attività» continua Lerro «è assimilabile in tutto e per tutto a quella di una SIM, Società di Intermediazione Mobiliare. Sul regolamento europeo si legge infatti che i servizi di crowdfunding consistono nella “prestazione congiunta di servizi di ricezione e trasmissione degli ordini di clienti e nel collocamento dei valori mobiliari”, che sono proprio tra le attività principali delle SIM».

«Occorre un salto di qualità»

Ecco perché non è così automatico il passaggio da una modalità all’altra. «Occorre un salto di qualità» spiega Lerro, «che giustifica i tanti requisiti evidenziati dai regolamenti». Facciamo qualche esempio pratico. «Le autorità richiedono che le società che offrono servizi di crowdfunding prevedano al loro interno un certo numero di funzioni e competenze differenziate: dovrà esserci chi valuta i progetti, gli investitori, i rischi, chi fa i controlli, chi si occupa di audit. Occorrerà dunque un’organizzazione strutturata, con personale qualificato e competenze che devono essere valutate dalla Consob. In secondo luogo occorre costruire procedure interne che assicurino che l’attività si svolga nel rispetto della normativa, che prevede la protezione degli investitori e la sicurezza sulle operazioni finanziarie». I cambiamenti riguardano anche la piattaforma informatica, che deve avere caratteristiche diverse. Un investimento importante, che tra assistenza legale e costi per il rifacimento della piattaforma, ammonta a non meno di 100mila euro.

I requisiti richiesti dalla normativa sono stringenti

Intanto chi ancora non ha ottenuto l’autorizzazione è fermo: non può lanciare campagne, ma solo gestire il pregresso. «Molti parlano di blocco delle autorizzazioni, ma il problema è che i gestori dei portali non sempre rispondono tempestivamente e correttamente alle richieste delle autorità». Un elemento sul quale molte delle procedure si bloccano è il business plan. Chi eroga servizi di crowdfunding deve dimostrare, dati alla mano, di essere in grado di sopportare i costi relativi a questo nuovo tipo di organizzazione. «Devono per esempio dire quante campagne prevedono di fare ma anche dimostrare che saranno in grado di portarle a termine, dire quanti e quali sono gli investitori istituzionali disposti a investire, quali i prodotti che collocheranno sul mercato. In altre parole devono essere credibili».

Su 85 portali, solo 55 hanno fatto richiesta di autorizzazione

Non tutte le piattaforme hanno compreso la portata di questa rivoluzione. C’è chi si è mossa in ritardo, chi non ha letto bene il regolamento e nonostante questo ha chiesto l’autorizzazione. Chi sta ancora cercando di soddisfare le richieste che pervengono dagli organi regolatori, in un continuo botta e risposta con la Banca d’Italia e la Consob. C’è chi ha rinunciato in partenza: su 85 portali di equity e lending crowdfunding, solo 55 hanno fatto richiesta. «Alla fine di tutto questo processo, probabilmente non più di 30 piattaforme otterranno l’autorizzazione» conclude Lerro. «Ma non è detto che anche chi l’ha ottenuta sia in grado di andare avanti. Mi aspetto che ci saranno delle concentrazioni. Anche perché poi cominceranno a entrare in gioco le piattaforme straniere».

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